Vincere è sempre inebriante. Vincere facile, col 60 per cento di astensioni e il 50 per cento dei voti espressi, lo è un po’ meno perché è chiaro che se l’offerta politica, al momento solo di destra, dovesse arricchirsi di nuovi protagonisti nel centro e a sinistra, la situazione sarebbe meno scontata. Sicuramente contendibile. Dopo di che, gestire la vittoria è assai complicato. Per chiunque, anche per una con il vento in poppa come Giorgia Meloni.Oggi parlano i fatti, non la narrazione” ha commentato la premier additando in stampa e tv i responsabili di ricostruzioni non rispondenti a verità.

La Fase 2 del melonismo comincia quindi oggi. Senza più alibi né ostacoli visto che i partner della coalizione sono tutti relegati al ruolo junior che poco o nulla possono pretendere. Questo è vero nel Lazio dove il cappotto di Fdi è matematico (34% contro 8-9 di Lega e Fi) ma anche in Lombardia dove le distanze sono inferiori (25% Fdi, 16 Lega, 7,2 Fi). La voracità più o meno intensa con cui Fratelli d’Italia vorrà occupare le poltrone disponibili sarà il primo test della capacità di gestione della vittoria. Che contiene una grande insidia: non avere rispetto degli alleati e quindi farsi male da soli.

Sui “fatti” a cui fa riferimento la premier, anche quelli parlano da soli. Da oggi, appunto. “Ha vinto il destra-centro” ha detto lunedì pomeriggio il ministro Francesco Lollobrigida, alter ego della premier nella squadra di governo commentando i risultati. Il governo ad esempio sta mettendo mano sulla governance del Pnrr e sta per portare a palazzo Chigi poteri e funzioni della cabina di regia del Piano e dei 200 miliardi che porta in dote. La bozza del decreto è stata fatta circolare lunedì pomeriggio non caso mentre era in corso lo spoglio vittorioso della destra. Un segnale chiaro: da oggi si fa come diciamo noi. Il decreto è atteso domani in Consiglio dei ministri. Leggendo le relazioni che accompagnano la bozza ieri visionata nel preconsiglio, si tratta del più importante spostamento di poteri interno al governo dall’inizio della legislatura.

Il quadro cambia completamente rispetto alla governance decisa da Draghi e che cercava di coinvolgere tutti, dai sindacati agli enti locali passando per i ministeri, nella cabina di regia. Presso la Presidenza del Consiglio nasce una “struttura di missione” divisa in quattro direzioni generali. Ci sarà un coordinatore unico e assicurerà “il supporto all’autorità politica delegata per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica”. Più semplicemente, con Mario Draghi il Pnrr era gestito da tecnici di tre strutture (due a palazzo Chigi, una, la più importante, presso la Ragioneria) e coordinate dall’allora sottosegretario Roberto Garofoli. Il governo Meloni delega i poteri a quattro uffici (Direzioni generali, ciascuna con una o due delle sei missioni) nelle mani del ministro per le Politiche comunitarie Raffaele Fitto che a questo punto diventa l’uomo più potente del governo.

Sembra quindi in partenza Chiara Goretti, la coordinatrice scelta da Draghi a cui sono riconosciute speciali capacità di interlocuzione a livello europeo. Ogni ministero potrà anche scegliere un dirigente di fiducia per il Recovery portando così il Pnrr all’interno del meccanismo dello spoils system. Escono fuori dalla governance enti locali, comuni e regioni, e sindacati che perdono quindi il diritti di veto anche rispetto alle numerose semplificazioni previste dal decreto. I provvedimenti del governo potranno andare avanti anche senza intesa con Regioni (ormai la destra ne controlla 15 su venti) e Comuni. Ieri Cgil Cisl e Uil hanno avvertito: guai se saremo esclusi, il governo ci convochi immediatamente.

La capacità di governare e di sostituire i fatti alla narrazione si appalesa anche nel decreto Mille proroghe, approdato ieri in aula al Senato e contenente almeno un paio di grosse forzature. La prima, la proroga per le concessioni balneari, passerà. La seconda, la proroga dei diritti tv sul calcio fino al 2026 per Dazn e Sky, sarà invece stralciata anche per la moral suasion del Quirinale che ha fatto pervenire per le vie brevi le criticità rispetto all’emendamento Lotito. Sui balneari la destra fa quanto promesso in campagna elettorale: con due emendamenti di Lega e Forza Italia e un terzo emendamento del governo, le circa 27 mila concessioni balneari non andranno a gare a partire da gennaio 2024 come prevede il disegno di legge sulla concorrenza approvato dal governo Draghi e uno dei milestone del Pnrr.

Ci sarà una nuova deroga (fino al 2025 “in presenza di ragioni oggettive che impediscono l’espletamento della procedura selettiva”) e questo nonostante una sentenza del Consiglio di Stato abbia deciso che sul tema non erano più possibili proroghe. Il problema è che la Commissione Europea ha già fatto pervenire che se dovesse passare questo emendamento, il giorno dopo scatterebbe la procedura di infrazione. “I cittadini e le imprese italiane – è il messaggio veicolato la scorsa settimana da un portavoce della Commissione – hanno bisogno, senza ulteriori ritardi, di procedure trasparenti, imparziali e aperte per decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di utilizzare il suolo pubblico, in questo caso le spiagge, per offrire i propri servizi”.

Il governo promette che ci sarà un’interlocuzione con Bruxelles per evitare la procedura. Il risultato è che alcune lobby – i balneari certamente, come già prima i tassisti – stanno svuotando il disegno di legge sulla concorrenza, concetto a cui il governo in carica sembra non dare tutta questa importanza. Dal Mille proroghe è saltato poi l’emendamento Lotito sui diritti tv. Anche lì il principio della concorrenza andava a farsi benedire. L’intervento del Quirinale sta costringendo la maggioranza a fare marcia indietro. Mettendo a rischio l’approvazione del Mille proroghe che scade il 27 febbraio, è ancora al Senato, deve passare dalla Camera per il via libera definitivo e si porta in pancia 150 emendamenti. “Dopo 100 giorni di governo non riusciamo ancora a vedere progetti di riforma – ha detto ieri in aula la senatrice Lorenzin (Pd) – e che il decreto Milleproroghe non ha trovato soluzioni strutturate ai tanti problemi sui quali si poteva da subito intervenire. Restano irrisolti grandi nodi come quelli della sanità e dell’innovazione e perfino sui balneari, tema tanto sbandierato, la proposta di riforma viene demandata, viene varata soltanto una proroga, per altro pericolosa, che espone l’Italia a nuovi procedimenti d’infrazione”.

Sempre per restare ai fatti che determinano l’azione di governo del Meloni 2, non può non cadere l’attenzione su un altro decreto approvato ieri alla Camera con la fiducia. Parliamo del decreto flussi, meglio noto come decreto Ong, quello che impone alle navi di fare un solo salvataggio per missione e affida il porto più vicino e sicuro anche a quattro, cinque giorni di navigazione dal luogo del recupero dei naufraghi. Per non lasciare dubbi, lo stesso ha fatto in queste ore il tribunale di Catania: in undici pagine il presidente del Tribunale ha liquidato la dottrina Piantedosi condannando il governo a pagare le spese legali all’organizzazione umanitaria Sos Humanity. Allora il governo aveva pochi giorni di vita e applicava solo un’ordinanza. Che oggi è diventata decreto e ha avuto il via libera della Camera pur tra le resistenze e i distinguo delle opposizioni, in barba al diritto del mare e alle regole internazionali. Ma il governo, appunto, va avanti. Governa. Senza alibi. Forte dei suoi successi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.