Stanno trattando. Ma non sul prezzo della benzina che continua a restare in media tra i 1,820 e 2.013 al litro e del diesel che viaggia tra 1.869 e i 2.013. Dunque ben più alto rispetto al 31 dicembre, ultimo giorno delle accise scontate dell’era Draghi. Governo e i 22 mila gestori delle pompe di benzina stanno trattando sul decreto Trasparenza, ovverosia sulle misure per favorire nell’automobilista la consapolezza dei prezzi praticati, la possibilità di contestarli, di chiedere e ottenere controlli e prevedere multe per chi, tra i gestori, fa il furbo. La trattativa è esattamente su questo. Non su altro. Dunque non riguarda i cittadini e il settore dell’autotrasporto, l’inflazione e il carovita. Che sono poi le cose che più dovrebbero contare. Riguarda, semmai, il sistema della distribuzione dei carburanti. Ma la sintesi non è stata trovata neppure al termine del secondo incontro tra governo e sindacati di categoria.

Ieri pomeriggio il tavolo del confronto si è trasferito in via Veneto, negli uffici del Mise e del ministro Urso. La prima puntata era stata la scorsa settimana a palazzo Chigi. Lo sciopero del 25-26 gennaio resta in piedi. E sarà ritirato solo se e quando “avremo trovato riscontro alle nostre legittime richieste” dicono i portavoce dei quattro sindacati di categoria. È previsto un altro incontro domattina prima della conferenza già indetta dai gestori. “In quella sede – riferiscono i rappresentanti dei distributori – ci aspettiamo ulteriori informazioni e garanzie di interventi sul decreto Trasparenza”. Che, è bene ricordare, è già legge ed è stato pubblicato in Gazzetta. La scorsa settimana sembrava che il testo approvato e corretto dal Consiglio dei ministri potesse bastare. Non è così. A quanto pare. I sindacati, ad esempio, non sono compatti. “La valutazione dell’incontro non è la medesima della Faib, non c’è stato nessun impegno concreto, i verbi continuano a essere coniugati al futuro e al condizionale. Per il momento quindi nulla ci fa dire che lo sciopero è revocato” ha detto Roberto Di Vincenzo, presidente di Fegica. Che ha precisato: “La fiducia si ottiene con i fatti non con le chiacchiere, ci aspettavamo soprattutto delle risposte”.

Sono i chiari indizi di una trattativa in corso. In cui una parte, i gestori dei distributori, stanno alzando il prezzo. Se il governo sperava quindi di chiudere la pagina nera del caro benzina, il momento non è ancora arrivato. Il successo dell’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo stragista di Cosa Nostra ancora latitante, su cui il governo ha messo il cappello (ieri i parlamentari di Fratelli d’Italia hanno organizzato un flash mob sotto il comando generale dell’Arma) non è bastato a voltare pagina rispetto ai problemi della maggioranza e all’impopolarità della misura sulle accise. Tensioni che si sono acuite ieri nella lunga seduta comune del Parlamento alla Camera per la votazione dei dieci membri laici del Csm quando Fratelli d’Italia è stata costretta a ritirare il suo candidato numero 1, l’avvocato Giuseppe Valentino in corsa per la vicepresidenza di palazzo dei Marescialli. Valentino (indagato) è stato sostituto in corsa dall’avvocato catanese Giuffrè. Ma a quel punto l’accordo che fino alle 16 sembrava blindato è apparso molto fragile.

La premier Meloni ha cercato quindi di comunicare l’importanza diplomatica e strategica della telefonata con il presidente francese Emmanuel Macron. Era dalla fine di ottobre che i due non avevano un confronto vero sui temi dell’agenda europea. Lo strappo risale all’infelice vicenda dalla nave ong Ocean Vicking, la prima rifiutata nei porti italiani in base alla circolare del Viminale. Da allora ha provveduto il presidente della Repubblica a tenere i rapporti che non si sono più scongelati fino, appunto, alla telefonata di ieri. Che è certamente un’ottima notizia per la diplomazia italiana. Un po’ meno per Giorgia Meloni. Sulla partita migranti infatti, alla fine di questi primi cento giorni di governo, i dadi tornano sulla casella del “Via”.

La telefonata è stata “cordiale” ed ha affrontato “i principali temi al centro dell’agenda europea e internazionale”. Quindi totale sostegno all’Ucraina, “urgenza di individuare a livello europeo soluzioni efficaci per sostenere la competitività delle imprese europee” e infine immigrazione.Serve un effettivo controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea” è il punto su cui hanno trovato l’accordo Meloni e Macron. Si dice più o meno da due, tre anni. La speranza è che cambi veramente qualcosa. Il 9 e il 10 febbraio ci sarà un Consiglio europeo su questo dossier. Intanto oggi il problema resta lo sciopero dei benzinai. Le associazioni di utenti e consumatori, da Codacons ad Assoutenti, non hanno dubbi: “È uno sciopero inutile che danneggia solo i cittadini”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.