Il concetto di democrazia partecipata è da tempo – almeno dall’irrompere del digitale nelle nostre vite e del parallelo diradamento della partecipazione al voto – oggetto di dibattiti e conati di reindirizzamento, a fronte di una radicale mutazione dei canoni interpretativi della realtà alla luce dei vecchi e nobili principi. Tra i quali trova posto avanti a tutto quello della scelta della rappresentanza attraverso il rito antico del voto.

In questo senso si è mosso, con piena consapevolezza della posta in gioco, l’appello alla partecipazione per il prossimo appuntamento elettorale europeo lanciato dal presidente Mattarella e dai suoi colleghi tedesco e austriaco. Non c’è dubbio: una democrazia non partecipata, una democrazia “della minoranza”, che democrazia sarebbe? La questione è così drammaticamente attuale, almeno nel voto per l’elezione della rappresentanza locale (si ricordi il 62,8% di astenuti nel Lazio e il 58,32 dei votanti mancanti in Lombardia alle regionali del 2023, e presagi altrettanto bui si preparano per il voto locale di giugno), da rimuovere ogni condizionale delle eventualità per inchiodare la riflessione al presente.

C’è poi, nel declino generale dell’entusiasmo partecipativo, un vulnus ancora più cocente ed è quello della diserzione programmata dalle urne da parte delle giovani generazioni: alle politiche del 2022 i ragazzi italiani in età tra i 18 e i 34 anni che hanno rinunciato al voto, nonostante il potenziale incentivo della novità offerta ai nuovi arrivati alla maggiore età del voto al Senato (prima consentito solo a partire dai 25 anni), sono stati quasi il 43%, una cifra che inquieta, se si pensa che trent’anni prima, nel ’92, i “disertori delle urne” erano stati solo il 9%. Chi ha una qualche consuetudine di dialogo con queste fasce generazionali sa bene che per lo più non si tratta di gesti “politici”, di protesta o di contestazione, ma essenzialmente di una pacata rimozione della voce “politica” dall’agenda personale dei ragazzi.

Per la percezione, restituita da media digitali, diversi dalla tv e dalla carta stampata (del tutto esclusi dal menù degli attingimenti giovanili), ma anche confermata dall’esperienza personale di ognuno di loro, dell’assoluta insignificanza del tema nella vita quotidiana dei cittadini. Terribile, no? Vedremo che accadrà alle prossime europee quando 2,7 milioni di nuovi elettori italiani riceveranno il certificato elettorale: sarebbero il 5,5% degli aventi diritto al voto e, probabilmente, qualcosa che somiglia al 10% dei voti effettivi. Se si presentasse alle elezioni un partito con quel consenso sarebbe uno dei primi quattro in Italia.

A ben vedere, però, anche il popolo degli adulti/adulti non è che sembri più motivato dei figli e nipoti: forse in questo caso il decalage della partecipazione è stato più lento, ma ha marciato comunque costante e inesorabile verso lo svuotamento delle urne. Nel giurassico del 1948 il partito dei non votanti aveva la consistenza del 7,87% alle politiche, registrando una partecipazione al voto pari a più del 92% e più o meno così andò fino al 1983, quando i non votanti si collocarono sotto al 12%. La divaricazione tra popolo e seggi elettorali cominciò a rendersi visibile con la seconda Repubblica, dopo l’avvento delle leggi elettorali maggioritarie e delle liste bloccate che non incentivavano una partecipazione attiva dell’elettore perché difettava la possibilità della scelta del rappresentante, già selezionato e bloccato dal partito. Fu così che si allestì una specie di marcia del Radetzky delle astensioni: dal 13,7% del 1994 (legge elettorale Mattarellum) al 18,8% del 2008 (legge Porcellum), al 24,8% del 2013, al 27,07% del 2018 (legge Rosatellum), al 36,09% delle ultime elezioni del 2022, che fecero registrare la partecipazione più bassa della storia della Repubblica.

Ma le politiche, si sa, sono il momento elettorale con la partecipazione più alta al voto di tutte le altre occasioni: per antico (e benefico) misunderstanding sul significato da attribuire al “dovere civico” scolpito nell’art.48 della Costituzione, per l’ipersensibilizzazione che i media tradizionali (e i partiti, quando esistevano) hanno creato intorno all’importanza del voto per l’elezione del Parlamento, per un certo qual senso di “scelta di campo” che si è attribuita a quel voto fin dai tempi della guerra fredda, ecco che la presenza alle urne per le “politiche” ha storicamente sopravanzato ogni altra. In modo particolare quella europea, percepita dai cittadini con un certo distacco. E, in verità, non solo dai cittadini italiani che, anzi, si collocarono subito, fin dalle prime elezioni dirette del PE risalenti al 1979 intorno all’85,65%, con solo il 14 e passa per cento di astenuti. Nel 2019 gli astenuti furono il 45,5%, la più alta cifra del quarantennio considerato e si annusano indizi (e sondaggi) che lasciano prevedere un nuovo record negativo.

Per un reinnesto di un senso civico, con conseguente partecipazione al voto, nel corpaccione sociale italiano purtroppo non basta il film della Cortellesi sulla gioia dell’averne acquisito il diritto nelle elezioni del 1946: il nostro domani c’è ancora per poco se lasciamo atrofizzare la nostra possibilità di partecipare e scegliere. Forse c’è qualche fascia di cittadini che crede di poter fare a meno di questa essenziale declinazione della democrazia? Resta comunque una parte importante di popolo che crede necessario e doveroso provarci. Allora si potrebbe fare come avviene in altri ordinamenti democratici per indurre la gente ad esercitare il proprio diritto democratico: farsi cittadinanza attiva e registrarsi al voto. Negli USA, per esempio, la cittadinanza e il diritto di voto non coincidono. Pur essendo ovviamente riconosciuto il suffragio universale, per votare il cittadino deve fare uno sforzo in più: andare a registrarsi. Chi non intenderà votare, allora, non comparirà tra gli elettori che resteranno solo quelli che intendono effettivamente partecipare attivamente alla vita democratica del Paese. Si è visto che alle grandi prove elettorali i cittadini in America arrivano in massa a registrarsi. Chissà, forse vale la pena pensarci anche noi.