Messo da parte il ko tecnico e umano della tragedia di Cutro, Giorgia Meloni cerca di cambiare schema di gioco, di uscire dalla palude immigrazione che ha significato due settimane di processo ininterrotto e di virare su un terreno a lei più congeniale: economia, lavoro e mercato. Non perché su questo sia più brava e competente – non c’è ancora la prova – ma perché su questi temi ha raccolto larga parte del suo consenso.

Il colpo di reni che dovrebbe levarla dall’angolo si chiama congresso della Cgil, iniziato ieri a Rimini. È stato anticipato dall’approvazione della delega fiscale che andrà oggi in Consiglio dei ministri dopo un primo giro di tavolo con le associazioni di categoria: i sindacati hanno bocciato “merito e metodo” della delega; Confindustria, Confcommercio, Confersercenti e altre associazioni di categoria hanno invece dato il via libera ad un testo che, diciamo la verità, muove oggi i primi passi di un iter che sarà lungo almeno due anni. E in politica, specie quella italiana, in due anni può succedere di tutto. Un testo che assomiglia più ad una bandierina che ad una vera riforma. Anche il primo duello in aula tra la premier e la neosegretaria del Pd Elly Schlein ieri ha virato sui temi economici, sul salario minimo e precarietà per poi virare sui diritti.

Scelta tattica che alla fine è stata bene ad entrambe: ciascuna ha parlato al suo mondo, la segretaria nel Pd a favore dei “lavoratori poveri e precari”; la premier contraria a questa come a tutte le altre forme di assistenzialismo di Stato. Con chi è rimasto stupito che la segretaria del Pd non abbia insistito per affondare il colpo sulla maggioranza chiedendo conto dei cadaveri che ancora ieri il mare di Cutro ha restituito, sono stati usati due argomenti. “Ci accusano che sappiamo parlare solo di immigrazione e allora abbiano portato il confronto sui temi sociali e del lavoro; il salario minimo poi è un tema che unisce le opposizioni”. La gestione dei migranti, in effetti, un po’ meno. E ora la segretaria è ancora nella fase in cui si fa di tutto per unire e non per dividere. La premier ha confermato la presenza al congresso della Cgil e il suo intervento domani a Rimini alle 12. Una vera e propria sfida. Da entrambi i fronti: l’ultima volta che un Presidente del consiglio ha accettato l’invito all’assise del principale sindacato italiano e di sinistra era il 1996 (governo Prodi). Non è detto, poi, che i presenti accettino l’invito fatta da Landini e non sono escluse proteste – ad esempio con lancio di peluche in ricordo di Cutro – o uscite dalla sala.

In ogni caso, la giornata di Meloni sarà win-win, comunque vincente: se riuscirà a parlare, sarà la prima leader di destra che parla al sindacato rosso; se la contestano, anche in maniera soft, avrà vinto due volte. Landini dovrà lavorare bene con i suoi, a cominciare dai suoi avversari interni che minacciano proteste più o meno clamorose. “Abbiamo invitato la premier come i segretari delle forze politiche dell’opposizione, personalità e soggetti sociali non per galateo istituzionale ma perché è il momento delle risposte ai bisogni delle persone, che per vivere devono lavorare e perché rivendichiamo che le riforme devono essere condivise e fatte con il mondo del lavoro e non contro o sulle spalle del mondo del lavoro” ha spiegato ieri il segretario aprendo i lavori dell’assemblea. Una relazione in cui ha sottolineato che la Cgilnon è un sindacato di opposizione o di governo. Noi siamo un sindacato di progetto come ci ha insegnato Trentin, autonomo, democratico, pluralista” che “si confronta alla pari con qualsiasi soggetto organizzato” e che “basa programmi e azioni sui principi e sui valori dettati dalla Costituzione”.

Landini è pronto al secondo mandato, ha messo, tra le altre cose, la riduzione dell’orario di lavoro nei contratti nazionali al centro del programma e ha tratteggiato la missione di un sindacato che sa rinnovarsi: “saper ascoltare, con coraggio, stare in mezzo alle persone per fare”. Con queste premesse, si capisce perché potrebbe saltare fuori la proclamazione di uno sciopero generale contro un governo che, ancora una volta, nelle delega fiscale, “prima ha scritto cosa fare e poi ce lo ha sottoposto. Così non va”. La riforma del fisco scritta dal governo, hanno detto, “premia solo i ricchi e il lavoro autonomo grazie a flat tax e le tre aliquote Irpef”. Non son ostati consultati prima, e hanno bocciato tutto il pacchetto. È chiaro che sarà su questo lo scontro domani. Il salario minimo invece non è tema che scalda la Cgil che rivendica di avere già un salario minimo nei contratti ufficiali. Certo, poi, ci sono qualche centinaio di contratti pirata dove avvengono le cose peggiori.

Un altro dossier economico è stato affrontato durante il premier time. Quando l’onorevole Luigi Marattin, esperto economico del Terzo Polo, ha chiesto in aula alla premier “ci stupisca Presidente, ci dica quando ratificherete il Mes. Se non ora quando, del resto, visto che il settore bancario è sotto stress per via del fallimento della Sylicon Bank”. Meloni non ha voluto stupire “il collega Marattin” e ha ancora una volta rinviato la risposta. “Dobbiamo vedere e valutare il contesto e l’insieme delle norme” ha preso tempo. Ma il tempo è scaduto. L’Italia è l’unico paese a non aver ratificato. Bruxelles ieri ha fatto sapere che invece dobbiamo farlo e anche in fretta. Succederà. Per forza. E chissà come la premier penserà di giustificare quel giorno la sua firma.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.