Sarà il campo di battaglia di tanti dossier il decreto Cutro da oggi in discussione in commissione Affari costituzionali al Senato. Maggioranza, opposizione, da sinistra e dal centro, volontariato e terzo settore, si confronteranno sulle modalità di gestione del fenomeno migratorio e sulla lotta all’immigrazione clandestina, due facce della stessa medaglia che però andrebbero tenute rigorosamente separate.

Sarà, l’iter parlamentare del decreto, il termometro per misurare veramente lo stato di salute della maggioranza, a che punto stanno Salvini, Meloni e Berlusconi al di là del karaoke a tre lanciato sui social a 24 ore dalla disastrosa trasferta a Cutro. E sarà anche l’occasione per vedere all’opera il nuovo Pd di Elly Schlein, come si declinano nella vita reale gli impegni presi e come si affrontano i problemi complessi. Nel question time previsto oggi alla Camera, occasione del primo faccia a faccia Meloni-Schlein, il tema scelto dalla segretaria del Pd non sarà l’immigrazione ma il salario minimo, tema su cui tutte le opposizioni possono trovare una saldatura. Conviene quindi, prima che la battaglia sul decreto abbia inizio, posizionare le pedine sulla scacchiera. Entro stasera dovrà essere consegnata la lista delle audizioni. Il testo di 10 articoli – i più delicati sono 6-7-9-10 – dovrà essere convertito entro il 12 maggio con il doppio passaggio alla Camera.

Il Quirinale ha già suggerito, al momento della pubblicazione in Gazzetta, che alcuni passaggi andranno rivisti e corretti. Uno soprattutto: la protezione speciale. L’articolo 7 ne prevedeva, nella prima stesura, l’abolizione totale. L’intervento del Colle, prima del Cdm, ha fatto inserire che nulla cambia per chi è già in Italia. Salvini e i suoi hanno già detto come la pensano: la protezione speciale è troppo discrezionale e diventa una terza fattispecie – dopo quella di profugo e di protezione sussidiaria“che apre la strada a troppi immigrati economici”. Del resto, aggiungono, “non esiste in nessun altro paese europeo”. Fratelli d’Italia sembra d’accordo. Così almeno in base a quanto ha detto Meloni presentando il decreto a Cutro in quella disgraziata conferenza stampa. Ma la partita è tutta da giocare. Gli occhi dei leghisti sono puntati su Alfredo Mantovano, il sempre più ascoltato e potente sottosegretario alla Presidenza certo non insensibile ai richiami del Colle e del Vaticano. Ieri pomeriggio, comunque, Igor Iezzi, capogruppo leghista in Commissione Affari costituzionali alla Camera ha deciso di congelare il pacchetto di norme che vorrebbero ripristinare i decreti Salvini del 2018.

“Buona parte dei contenuti dei miei decreti sono già stati ripresi nel decreto presentato a Cutro e altre parti potranno essere aggiunti nel dibattito parlamentare” ha detto ieri mattina il segretario della Lega. Un’apertura di credito alla linea Meloni? Difficile dire quanto durerà la tregua. L’altra variabile al momento imponderabile ruota sempre intorno alle parole di Mantovano: “E’ tempo di riscrivere la Bossi-Fini”. Lo dicono anche da sinistra. E dalla Lega. Possiamo immaginare con finalità diverse. Il problema è che la proposta del sottosegretario Mantovano è al momento ancora top secret ma potrebbe trovare sviluppo in questo decreto. Un altro passaggio delicato è l’articolo 6 del decreto e riguarda la caccia “per l’orbe terracqueo” (cit Meloni) degli scafisti. Si parla del comma 6 quando dice: “Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando la morte o le lesioni si verificano in acque internazionali”. In pratica è un’estensione della competenza territoriale al di fuori dei confini nazionali pur di dare la caccia agli scafisti.

Ci provò, una decina d’anni fa, l’allora procuratore di Catania Giovanni Salvi. Sarà bene che gli estensori del decreto chiedano una consulenza perché così come è stata scritta la norma sembra velleitaria e facilmente contestabile. Il Pd intende partire da qui. “La norma penale sugli scafisti va corretta perché così com’è è esagerata e inutile” anticipa Alfredo Bazoli. Il nostro codice già prevede la competenza della magistratura italiana se il reato “in tutto o in parte” si realizza nel nostro territorio. Basta quindi una telefonata ad uno scafista a terra in Italia e l’associazione a delinquere si tira dietro tutto il resto. Il problema semmai arriva dopo: cioè arrestare chi sta in Turchia o in Libia. Impossibile. Da qui il dubbio che dietro la norma ci siano soprattutto velleità e propaganda.

Altre due punti su cui il Pd chiederà modifiche sono la protezione speciale “che non va assolutamente tolta” e la blindatura dei decreti flussi che aumentano la quota di ingressi regolari a fini di lavoro dei migranti. Tutto molto condivisibile, occorre vedere come saranno valutate di anno in anno le quote. “Chiederemo garanzie – ha aggiunto Bazoli sulla procedura che regolerà gli ingressi tramite i flussi”. Intanto ieri fonti di governo hanno fatto trapelare che a livello europeo “si sta pensando ad una missione di stabilizzazione da parte degli Stati europei nei Paesi dell’Africa più interessati al fenomeno”. Non si esclude, è stato spiegato, “che il tema possa presto essere rappresentato anche in sede Nato”. Si fa l’esempio del 1997 quando “forze armate italiane e di altri paesi contribuirono alla costituzione della Forza multinazionale di proiezione”. Ma l’Albania del 1997 non é paragonabile con la Libia o il nord Africa di oggi. E anche questo sembra velleitario. E propagandistico.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.