Nel mare calabrese ci sono ancora cadaveri di bambini. Forse venti, forse trenta. Dai racconti dei sopravvissuti si sta lentamente ricostruendo che erano «alcune decine i bambini» nella stiva del caicco Summer Love, avvistato a 40 miglia da Capo Rizzuto sabato 25 febbraio alle 22,26 e naufragato all’alba a quaranta metri dalla costa. Senza che venisse decisa per loro un’operazione di salvataggio. Alcune decine.

Ci vuole lo stomaco di chi confeziona il Corriere della sera per scrivere (ieri in prima pagina) «sui soccorsi il ministro Piantedosi in audizione alla Camera chiarisce che “da Frontex non è arrivata nessuna richiesta”». Il ministro Piantedosi, al Corriere della sera lo sanno benissimo, non ha chiarito un bel niente. Il ministro Piantedosi martedì ha mentito prima alla Camera e poi al Senato. E ha infilato un lunga serie di omissioni. Con una mano ad accarezzarsi la testa, lampi di sguardi ogni tanto in cerca di un appiglio tra i banchi della maggioranza, Piantedosi ha detto in Aula che la prima segnalazione di emergenza è delle 4 di domenica, ossia a naufragio avvenuto. Invece Frontex ha inviato a Roma già sabato sera una scheda fitta di dati espliciti sul caicco avvistato alle 22,26 «senza giubbotti di salvataggio visibili», «con probabili persone sottocoperta».

Piantedosi non ha parlato della dettagliata allerta su condizioni meteomarine in peggioramento di cui disponevano sia la Guardia di finanza che la Guardia costiera. Ha omesso che il Centro di coordinamento soccorsi di Roma aveva un evento Sar già aperto, ossia una allerta già lanciata, per un sos ricevuto venerdì sera, ha evitato di dire che per questo la Guardia costiera era tenuta dalregolamento ad uscire per qualsiasi anche vaghissimo segnale di pericolo: figurarsi per una segnalazione Frontex con tanto di foto termica allegata da cui si vedeva un caicco con linea di galleggiabilità bassa, quindi con stiva piena di gente, dirigersi verso le nostre coste scogliose. Nulla ha detto sul ritardo dei soccorsi a terra di almeno mezz’ora, mezz’ora fondamentale per salvare i naufraghi. Nemmeno una parola sulla volante mandata a Steccato di Cutro soltanto alle 4 e un quarto, quando i carabinieri ricevono una chiamata e riescono a capire da dove viene. E si trovano di fronte a una risacca di cadaveri.

Non ha spiegato chi ha deciso di aspettare a piedi asciutti che il caicco attraccasse da solo. Non ha detto chi è andato a letto sapendo che se con quel mare era pericoloso per i mezzi della Finanza uscire non poteva non esserlo per una vecchia barca di legno carica di persone entrare.
Aggrappato alla frase del capogruppo dei deputati di Forza Italia, Alessandro Cattaneo: «Il nostro gruppo le rinnova la fiducia» seguita da applausetto tiepidino e stracco, il ministro è rimasto in piedi. Ma è un ministro dimezzato. Anche il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, ha dovuto inerpicarsi sulla distinzione tra funzionari dello Stato e funzionari del governo con implicito scaricabarile sui primi: «Non si può pensare ci sia un potere politico che va a condizionare funzionari dello Stato che, se sbagliano, lo fanno in buona fede e non certo per dolo». In buona fede e non per dolo. Della colpa Foti, mica scemo, non ha parlato.

Brividi per il ministro quando un altro funambolo, il capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, più tardi a palazzo Madama dirà: la Grecia quella nave l’ha lasciata andare perché «tanto poi ci pensa l’Italia, e poi se sbaglia, per certe condizioni, che possono capitare, allora è colpa dell’Italia». Bella difesa, pure questa. «Se sbaglia», «per certe condizioni che possono capitare». Dalle parole della maggioranza di governo in Aula il ministro dell’interno ha ricevuto una copertura obbligata ma stentata, piena di imbarazzo, attenta a misurare le parole per non esporre in prima persona chi parlava in sua difesa.

Giorgia Meloni non gli ha chiesto di rassegnare le dimissioni. Non ancora. Ma in Parlamento ad ascoltarlo s’è guardata bene dall’andare e, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano s’appresta a sfilare alla Lega, e a Matteo Salvini – anche lui uccel di bosco – la gestione politica del dossier immigrazione. Piantedosi ormai è commissariato. Può l’Italia permettersi al Viminale un ministro dimezzato? Può l’ordine pubblico essere responsabilità politica di un uomo tenuto politicamente appeso da pezzi della maggioranza di governo che si sono giocati la faccia per lui e non è detto l’abbiano fatto in cambio di nulla? Può il monopolio della forza detenuto dallo Stato essere in mano a un politico politicamente ricattabile? Ad ascoltare tra i banchi del governo a Montecitorio la penosa autodifesa di Piantedosi sono state spedite solo le terze file tra i ministri e qualche volonteroso sottosegretario.

Di figure di peso c’era solo il ministro della giustizia Nordio che a suo agio non sembrava e appena ha potuto se l’è filata senza nemmeno ascoltare gli interventi dei deputati. È stato segnalato di recente addirittura un rischio terrorismo in Italia. È stato detto che frange anarchiche – qualsiasi cosa questo voglia dire – si sarebbero saldate con oscure forze del male. Crediamoci. Può allora una eventuale emergenza di ordine pubblico essere in capo a un uomo politicamente così fragile, appeso per un filo, esposto al primo refolo di vento?