Sarebbe bastato soccorrerli. La strage di bambini a due passi dalle coste di Cutro, in Calabria, si poteva evitare. Invece si continuano a contare i morti. Un centinaio, il bilancio è ancora incerto. Molti sono i buchi nella ricostruzione delle sei ore (perse) tra le 22,30 di sabato (quando la barca piena di profughi è stata avvistata e l’Italia avvisata) e le 4,30, quando la nave si è schiantata a pochi metri dalla spiaggia e a pochi passi dallo schieramento di agenti di polizie varie che, invece di andare a cercare ii profughi in mare, li stavano aspettando a terra in un’operazione di contrasto all’immigrazione clandestina finita a contare sulla spiaggia i cadaveri di quindici bambini.

Il ministro Piantedosi, capo della guardia di finanza e della polizia, a qualsiasi dubbio risponde: offensivo anche solo ipotizzarlo. Matteo Salvini è taciturno. Offre attestati di solidarietà alla Guardia costiera, attestati inusuali visto che la Guardia costiera al suo ministero fa riferimento. La Guardia costiera è il grande mistero di questa tragedia. Un corpo fatto di militari votati al mare che del salvataggio di persone a rischio hanno fatto la loro vita professionale, che nella storia tragica delle operazioni di riscatto naufraghi nel Mediterraneo hanno da anni il fondamentale ruolo di soccorritori anche in condizioni meteo proibitive, questa volta è stato fermo agli ormeggi fino a naufragio avvenuto. Presto qualcuno di loro spiegherà il perché. Ci sono troppi e troppo furibondi militari lì dentro perché tutti continuino a tacere a lungo.

I fatti: l’aereo Eagle1 di Frontex, missione europea incaricata di pattugliare il mare dal cielo, segnala alle 22,30 di sabato 25 febbraio a 40 miglia a sud est di Capo Rizzuto, in acque internazionali ma in piena Sar italiana (la zona in cui l’Italia è TENUTA a prestare soccorso in mare) una barca sovraccarica. Dice esplicitamente che ci sono all’incirca 200 persone a bordo. Lo dice a tutte le autorità italiane, incluso il Mrcc di Roma, il centro di coordinamento costituito da personale delle capitanerie di porto. Quel centro è quello a cui spetta legalmente la responsabilità dei soccorsi. È quel centro che comanda poi alle singole unità della guardia costiera, in caso sia necessario (e spesso lo è) anche alla guardia di finanza, di attuare un piano di salvataggio.

Incredibilmente non viene attivato il piano di soccorso. In gergo tecnico, non viene creato l’evento Sar, che consente di mandare tutti i mezzi possibili in aiuto alla barca in emergenza e di avvisare ogni natante in zona (e in quella zona trafficata di mare ce ne sono tanti: mercantili, petroliere…) di avvicinarsi al luogo segnalato per prepararsi a un’operazione di ridosso. Ossia a fare un cordone attorno alla barca così da proteggerla dal mare grosso e aiutare poi in caso i soccorsi. Perché non viene creato l’evento Sar? Perché la Guardia costiera non si è mossa per sei ore, e lo farà soltanto a naufragio avvenuto? In un comunicato ieri la Guardia costiera ha scritto: “Frontex avvistava un’unità in navigazione nel mar Jonio. L’unità risultava navigare regolarmente a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”.

Perché non dire che Frontex li aveva invece avvisati subito che sul caicco c’erano quasi 200 persone e che la barchetta era “heavily overcrowded” ossia “pesantemente sovraccarica”? Perché tacerlo? Perché la Guardia costiera fa finta di non sapere che c’erano 200 persone su quel rottame? Sappiamo per certo che la guardia costiera aveva queste informazioni fondamentali perché due giorni fa, a domande del nostro giornale, Paulina Bakula dell’ufficio stampa di Frontex ha risposto: “Noi abbiamo immediatamente informato le autorità italiane, tutte, non solo l’Mrcc. L’imbarcazione, con a bordo circa 200 persone stava navigando autonomamente e non c’erano segnali di pericolo”. E ha parlato di imbarcazione “heavily overcrowded”, pesantemente sovraccarica. Ovviamente la guardia costiera sa che una barca di pochi metri definita sovraccarica (semmai ci fosse bisogno della definizione dopo aver saputo che a bordo in pochi metri ci sono 200 persone) è in tutta evidenza a rischio. Per di più con condizioni meteo che le previsioni davano in peggioramento. Eppure la Guardia costiera non attiva i soccorsi e non esce.

Usciranno invece due mezzi della Guardia di finanza nella notte e rientreranno subito per timore, dicono, del mare grosso. Il mare, in verità, era nella zona dove stava la nave alle 22,30 con una onda massima di due metri, diventata poi di 2 metri e settanta solo alle 4, quando il caicco è arrivato a riva e si è schiantato sugli scogli. Perché tante omissioni? Nel centro di coordinamento della guardia costiera la catena di comando è chiara. La sala centrale operativa dipende dal capitano di vascello D’Agostino, che è il capo tecnico della Mrcc. D’Agostino risponde al capo del terzo reparto, l’ammiraglio Auricino, che coordina tutte le operazioni e i piani. E che riferisce al comandante generale, l’ammiraglio Carlone. D’Agostino, Auricino e Carlone potrebbero per favore spiegare perché l’evento Sar non è stato aperto subito, appena arrivata la segnalazione di Frontex, alle 22,30? Non ha senso lasciar supporre che siccome dal mezzo carico di profughi non è arrivato un sos non si è considerato il rischio naufragio.

Un caicco in quelle condizioni con duecento persone a bordo era chiaramente a rischio naufragio. Nelle capitanerie di porto si mastica amaro. In alcuni militari cova una rabbia che monta. C’è chi sbotta: “Ci hanno fatto scippare tutto dalla Guardia di finanza”. Altri: “Qualcuno sta vendendo il corpo alla Guardia di finanza”. Il timore che qualcuno si spinge a confessare è che si stia creando una pericolosa confusione, qualcosa di simile a una doppia catena di comando. Che “a decidere se una emergenza è un caso di immigrazione da contrastare con un’operazione di polizia o un caso di rischio naufragio da affrontare con una operazione di salvataggio non sia più la guardia costiera ma qualcun altro”.