Un racconto autoassolutorio e pieno di contraddizioni. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi parla alla Camera nell’informativa sul naufragio di migranti davanti alle coste calabresi di Cutro, col bilancio ufficiale che ad oggi evidenzia 72 vittime, tra cui molte donne e bambini, e respinge tutte le accuse arrivate dalle opposizioni sul ruolo dell’esecutivo, dei ministeri competenti e di Finanza e Guardia Costiera nel non aver impedito la tragedia.

Piantedosi prendere la parola di fronte ai deputati e per prima cosa dichiara di voler “rinnovare il cordoglio, mio personale e di tutto il Governo, per le vittime di questo ennesimo, tragico, naufragio e la vicinanza alle loro famiglie e ai superstiti”, rendendo noto l’ultimo bilancio purtroppo non definitivo della strage avvenuta domenica 26 febbraio: 72 le vittime, di cui 28 minori, mentre i superstiti sono 80.

Quindi si entra nel vivo delle polemiche, con la ricostruzione dei fatti da parte del titolare del Viminale. Secondo Piantedosi “Frontex sabato sera non aveva segnalato alcuna situazione di emergenza. Intorno alle 4 di domenica sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone. È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane”.

Affermazioni che non quadrano, visto che proprio sabato sera, alle 22:26, l’agenzia europea aveva inviato una scheda telematica a tutte le autorità competenti italiane, anche alla Guardia di Finanza, anche alla Guardia costiera, con tutte le informazioni necessarie a considerare quella barca a rischio naufragio e ad attivare i soccorsi. Quella scheda descrive una “barca a motore” con “forte risposta termica dalla stiva”: può voler dire soltanto probabili persone a bordo e nient’altro che questo. Dice che “non ci sono giubbotti salvavita visibili” e che “sovracoperta c’è una sola persona visibile”.

Quindi la catena di contraddizioni. Piantedosi nel difendere l’operato del governo spiega che “l’esigenza di tutela della vita ha sempre la priorità, quale che sia l’iniziale natura dell’intervento operativo in mare. In altre parole, le attività di law enforcement, che fanno capo al Ministero dell’Interno, e quelle di soccorso in mare, che competono al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esigono la cooperazione e la sinergia tutte le volte che i contesti operativi concreti lo richiedono, e in primis quando si tratta di salvaguardare l’incolumità delle persone in mare”.

Eppure poco dopo il ministro spiega che “l’attivazione dell’intero sistema SAR (ricerca e soccorso, ndr) non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo Sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia”.

Anche in questo caso il ministro non la racconta giusta: il disciplinare SAR del 2020 prevede che le operazioni di ricerca e soccorso possano essere attivate in base a un riscontro oggettivo di situazioni di pericolo, anche dubbio o eventuale. Una circostanza anche ovvia: in caso di sistemi di segnalazione in avaria un natante può anche non essere in grado di richiedere soccorso o segnalare distress.

Sempre nello spiegare l’operato italiano in occasione del naufragio c’è l’ennesima incongruenza nel racconto di Piantedosi. Il titolare del Viminale parla nella sua informativa di “due unità navali della Guardia di Finanza in mare per seguire l’operazione” che “sono state costrette a rientrare in porto per le pessime condizioni del mare confermando il quadro non relativo ad eventuali criticità dell’imbarcazione”.

Non si spiega dunque perché due mezzi della Finanza, attrezzati per navigare in acque anche più agitate rispetto a quelle davanti Cutro, siano dovuti tornare in porto a causa del maltempo, e da Roma sia stato considerato “non in pericolo” un caicco che navigava nelle stessa zona e in evidente sovraccarico?

Quindi da Piantedosi è arrivato anche un ribaltamento delle accuse. A finire nel mirino sono le opposizioni perché “sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o addirittura impediti dal Governo costituisce una grave falsità che offende, soprattutto, l’onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente difficili”.

Il ministro, dopo le polemiche sulla conferenza stampa in cui ha asserito che non fosse responsabile provare la via disperata del mare per i propri figli, assicura che non voleva colpevolizzare i migranti: “Alla gravità di questa condotta criminale (dei trafficanti, ndr) facevo riferimento quando, con commozione, sdegno e rabbia e negli occhi l’immagine straziante di tutte quelle vittime innocenti, ho fatto appello affinché la vita delle persone non finisca più nelle mani di ignobili delinquenti, in nessun modo volendo colpevolizzare le vittime“.

Di tutt’altro avviso è Peppe Provenzano. Il deputato Pd prende la parola e accusa senza mezzi termini l’esecutivo ricordando le parole pronunciate da Giorgia Meloni 8 anni fa. “‘Il Governo deve essere indagato per strage colposa’. Lo disse Giorgia Meloni nel 2015 ma allora il naufragio avvenne a 200 km da Lampedusa, ora a 200 metri dalle nostre coste“, sono le parole che arrivano da Provenzano. Per il deputato Dem “il nodo” è stabilire “chi ha deciso nel corso di quelle sei ore che dovesse essere un’operazione di polizia e non di soccorso guidata dalla guardia costiera che avrebbe avuto i mezzi per salvare vite?“. Per Provenzano si è trattato di una “scelta politica“.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia