Se non è stata una passerella – la cittadina di Cutro è diventata zona rossa e i negozi chiusi fino alle 19 – è stata però una visita super blindata. Tra i peluche che i manifestanti hanno lanciato contro le auto blu in arrivo e anche qualche applauso, Giorgia Meloni ha messo piede nella sede del comune poco dopo le 16 per ripartire alle 20. Una visita lampo, il tempo della riunione, della conferenza stampa partita in attacco e finita in ritirata, del saluto alle autorità, dell’installazione di una targa alla memoria e poi di nuovo l’aereo con destinazione Roma. Nella targa si leggono due frasi.

La prima è di Papa Francesco quando il 5 marzo ha chiesto all’Angelus di “fermare gli scafisti”. La seconda è a nome del governo che “rinnova il suo massimo impegno per contrastare la tratta di esseri umani, tutelare la dignità delle persone e salvare le vite umane”. Parole scritte invece che momenti reali di umana vicinanza e pietà con i parenti delle vittime. Nessun faccia a faccia col dolore, con i luoghi e le persone della tragedia. Dopo dodici giorni, si dirà, che senso ha? Ma i luoghi hanno l’anima e conservano la memoria di ciò che sono stati e che hanno visto. I luoghi parlano. Se si sanno ascoltare. Per dodici giorni la premier ha scansato un confronto diretto sulla tragedia di Cutro. Ha delegato il ministro dell’Interno con i risultati che sappiamo: reticenza, gaffe, errori, contraddizioni. I giornalisti così aspettavano da giorni la conferenza stampa per un confronto diretto.

C’è stato, finalmente. Ed è stato un disastro: nessuno vuole accusare qualcuno di non aver fatto qualcosa, la premier però ancora una volta ieri non ha capito, non ha voluto ammettere che qualcosa non ha funzionato nel sistema di sorveglianza e dei soccorsi. Non si è fatte le giuste domande. Non ha chiesto scusa per il fatto che quella notte tutti in un modo o nell’altro erano girati dalla parte sbagliata. La premier è arrivata con i due vicepremier, Salvini e Tajani, l’obiettivo era dare un’immagine di unità. Ma non è stato facile convincere Salvini che la linea sull’immigrazione la darà d’ora in poi palazzo Chigi e che lui, se proprio vuole, può divertirsi in Parlamento a portare avanti misure che vanno però in direzione opposta rispetto a quella del governo. Che ha abbandonato la vecchia propaganda del “muro navale”, e inizia a fare i conti con “una faccenda complessa e difficile come l’immigrazione” come ha detto la premier.

Le norme inaspriscono le pene per gli scafisti e riattiva e potenzia i Centri per i rimpatri. Alla fine il decreto non dice chi ha sbagliato e dove in quella tragica notte tra il 25 e il 26 febbraio in uci hanno perso la vita 74 persone in circostanze ancora non chiarite dal governo. L’articolo 10 che aveva potenziato i meccanismi di sicurezza e sorveglianza in mare affidando il coordinamento alla Marina Militare, è stato alla fine tolto. «Me l’ha chiesto personalmente il ministro Crosetto. E alla fine anch’io valuto che il dispositivo funzioni bene così com’è». La premier Meloni dice che quella notte (dice il 24, invece è il 26) si è verificata “una sciagurata coincidenza”. Salvini resta a bocca asciutta. O meglio: può forse issare la bandierina della norma cosiddetta Soumahoro (articolo 7) che prevede norme più stringenti e severe nella gestione dell’accoglienza. E una limitazione dei permessi speciali (che esistono solo in Italia).

Tutta la maggioranza può issare lo scalpo delle pene più dure per gli scafisti che (articolo 6) arrivano fino a 30 anni se “nel trasporto dei migranti si cagiona la morte anche in modo non volontario”. Sarà questa la novità che, nel racconto della maggioranza, connota e specifica il decreto Cutro. «Dobbiamo stroncare il traffico degli esseri umani, debellare questa che è la schiavitù del terzo millennio, e colpire gli scafisti che provocano queste ed altri stragi», ha esordito la premier nel cortile del comune sistemato con sedie e tavoli. Il decreto contiene anche un pacchetto di norme che facilitano l’ingresso degli immigrati, i permessi di soggiorno e di lavoro. Cinque articoli su dieci ampliano le quote flussi (che saranno fissate ogni anno con un Dpcm), aumentano fino a tre anni i permessi di soggiorno e semplificano le procedure per poter lavorare in Italia. Anche a chiamata.

«Noi vogliamo combattere gli scafisti che sono la schiavitù del terzo millennio– ha esordito la presidente Meloni noi cerchiamo gli scafisti e non i migranti, vogliamo far capire anche con campagne mediatiche nei paesi di partenza – e che andremo a premiare garantendo più ingressi – che non conviene partire affidandosi ai trafficanti. Mi chiedo perché tutto questo non sia stato fatto prima». Il ministro Piantedosi le siede accanto. E anche per questo la premier vuole ribadire che a suo modo di vedere la notte della strage dei bambiniè stata una disgrazia provocata dagli scafisti”, nel tentativo di stronacare i sospetti sollevati sulle responsabilità del sistema di controllo e di allerta che dipendono dal ministro dell’Interno seduto lì accanto a lei.

Il tema del cordoglio, della vicinanza alla vittime, della partecipazione al loro dolore viene risolto con il “pragmatismo”. «Noi cerchiamo di rispondere con i fatti e di dare risposte». Ed è un fatto, dice la premier, «l’alto valore simbolico di celebrare qui il Consiglio dei ministri: mai prima d’ora i ministri si erano riuniti nel luogo dove è avvenuta la tragedia…». Vero. Anche perché è la prima volta che si assiste ad un naufragio con oltre cento morti a cento metri dalla spiaggia. Le tragedie, i naufragi, tanti troppi, sono avvenuti in acque nazionali ma lontani miglia dalla costa.
Giorgia Meloni inizia, appunto, dalla seconda parte del decreto, quella repressiva. Con il supporto tecnico dei ministri Nordio e Piantedosi spiega la grande novità: «Una nuova fattispecie di reato che introduce la morte causata durante la navigazione organizzata da canali clandestini e prevede pene fino a 30 anni». Ma non finisce qui: il ministro Nordio allarga, in qualche modo, la competenza territoriale della giurisdizione italiana. «Li andremo a colpire anche là dove organizzano e predispongono il traffico dei clandestini, fuori dai nostri confini nazionali».

Nei paesi stranieri non è possibile. Quindi si parla di acque internazionali? Sembra un’enormità giuridica. La premier completa l’informazione dicendo che «il progetto è uniformare tutti i paesi europei a questa fattispecie di reato. Pensiamo ad un reato universale». Vedremo, chissà. In genere è un po’ più complicato. Meloni ha cercato per dodici giorni di evitare un confronto diretto sulla notte del naufragio. Ieri non ha potuto sottrarsi. «Vede Presidente – ha chiesto un cronista calabrese – dal 1996 lavoro qua e vedo sbarchi. Le posso assicurare però che mai ho visto una cosa del genere a duecento metri dalla riva, ci sono più di cento morti, lei capisce che noi, tutti noi non possiamo non farci questa domanda: cosa è successo quale notte? Cosa non ha funzionato?».

È stata come una miccia, prima e dopo altre domande dello stesso tema sono arrivate una dietro l’altra e la premier non è riuscita a rispondere. Se non per dire: «Non accetto che si dica che ci siamo voltati dall’altra parte». Una debacle. Piantedosi ha cercato di chiudere rinviando alle sue cinque diverse informative tenute in questi giorni. Salvini è intervenuto per dire che «in questo momento le Capitanerie di porto stanno facendo 25 interventi di soccorso in mare». Sollecitata in più modi alla fine la premier ha scansato via il microfono e buttato la testa all’indietro. Solo il ministro Tajani, seduto lì accanto, ha potuto raccogliere il suo sconforto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.