Incassato il risultato delle regionali, blindata la maggioranza seppure con pesanti ipoteche specie in politica estera, Giorgia Meloni passa alla fase 2 della sua leadership. E a quelle che possono essere definite la “trame europee”. L’obiettivo è il ribaltone dell’attuale maggioranza a Bruxelles e nel Parlamento europeo che sarà rinnovato con le elezioni del maggio 2024. Da qui ad allora sarà una maratona di colloqui, incontri, accordi sottobanco e alla luce del sole.

La posta in gioco è altissima: mettere le mani sull’Europa, sul suo valore geopolitico, strategico e commerciale e toglierla dalla scomoda posizione di essere schiacciata tra Stati Uniti e Cina. Per non parlare della Russia.Meloni non è mai stata contro l’Europa” è il refrain di Giorgia e dei suoi fratelli. “È finita la pacchia” era solo un modo per dire che dopo aver conquistato l’Italia, la leader di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei, ruolo che le cucì su misura tre anni fa l’allora eurodeputato e oggi ministro Raffaele Fitto, è pronta per un’Europa a propria immagine e somiglianza.

I prossimi giorni erano stati costruiti a tavolino per essere un tassello importante del Piano: stamani l’incontro a palazzo Chigi con la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola che, in visita ufficiale, incontrerà anche il presidente della Repubblica e i presidenti di Camera e Senato. Il giorno dopo, sabato, Meloni doveva essere presente alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, da decenni un appuntamento importante di politica estera che quest’anno assume le sembianze di un quasi vertice Nato tra gli amici di Kiev. La premier, accompagnata dal ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, aveva già fissato incontri bilaterali con la vice di Biden Kamala Harris, con il premier britannico Rishi Sunak.

Gli staff di Farnesina e palazzo Chigi avevano lavorato intensamente. Persino per una parte più mediatica, un panel moderato dalla giornalista della Cnn Christiane Amanpour. Ma soprattutto Monaco era l’occasione per una doppia missione: ribadire e dimostrare che l’Italia è fortemente dalla parte dell’Ucraina; seppellire le parole “pacifiste” secondo i suoi, “filoputiniane” secondo i Fratelli d’Italia, di Silvio Berlusconi. Ieri pomeriggio palazzo Chigi ha dovuto però cancellare tutti gli impegni del presidente del Consiglio “per il persistere di sintomi influenzali” di cui lo stesso staff della premier sarebbe venuto a conoscenza solo ieri pomeriggio. Chiariamo subito per gli appassionati di retroscena: non esiste un giallo sulla salute di Giorgia Meloni. “Solo una brutta influenza. E chi l’ha presa ne sa qualcosa” tagliano corto persone vicine alla premier.

Tutto ciò non congela né rinvia le trame per il Piano europeo. Che si basa su un asse a tre, Metsola, Tajani, Meloni, un’alleanza che potrebbe distribuire dividendi per tutti. Appartenenti a due gruppi diversi, Popolari (Ppe) e Conservatori europei (Ecr), la maltese e Meloni hanno forti affinità politiche. Utili nella prospettiva delle Europee del 2024. Quando un anno fa Metsola, esponente del Ppe, fu eletta al vertice dell’Eurocamera al posto dello scomparso David Sassoli, Meloni, allora ancora in veste di presidente dei Conservatori europei, esultava, augurandosi la ricostruzione di «un’alleanza di centrodestra anche in Europa, liberando il Ppe dal giogo dell’alleanza eterna con i socialisti che è cosa innaturale». È stato Antonio Tajani a lavorare intensamente perché sbocciassero le affinità elettive tra le due signore.

Dare un diverso colore all’Europa con un’alleanza tra popolari e conservatori è il minimo comune divisore che unisce la forze di maggioranza. Per Forza Italia vorrebbe dire restare nella casa madre di sempre, la grande famiglia dei popolari e delle forze centriste che Berlusconi ha sempre coltivato e vantato. La Lega potrebbe finalmente trovare una casa comune europea che invece le è fin qui mancata andando ad allearsi con estremi (vedi Le Pen) che non sono mai piaciuti alla base leghista. Ecco allora il patto di sangue tra le due leader: Meloni, e con lei i conservatori, sarebbero la principale sponsor di Metsola come successore di Ursula von der Leyen. Ai Popolari verrebbe lasciato lo scettro della Presidenza. Ai Conservatori quello del Parlamento.

Questo il Piano. Ci sono 14 mesi per realizzarlo. E una quantità infinita di ostacoli. Tra i Popolari, ad esempio, visto che la rivalità tra la tedesca von der Leyen e la maltese Metsola sarebbe profonda. E tra i dossier che arrivano da Bruxelles, a cominciare da quelli di “Fit for 55”, il piano europeo per abbattere le emissioni di CO2. Le case green, il cibo sintetico, lo stop alla produzione di auto a benzina e diesel entro il 2035, la riforma del Patto di Stabilità, la revisione delle regole sugli aiuti di Stato per rispondere al piano miliardario di Joe Biden. Ci si è messo anche il ministro della Difesa Guido Crosetto che ha lanciato l’idea di legare l’obiettivo del 2% del pil in spese militari alla revisione delle regole di bilancio Ue.

Grandi questioni che si mescolano con altre assai minori come la proroga delle concessioni balneari (che produrrà una procedura d’infrazione Ue) e la revisione del Pnrr. Il ribaltone europeo vorrebbe dire anche poter ridiscutere alcune norme che sembrano tassative. E però quasi mai Popolari e Conservatori sono dalla stessa parte su questi dossier. L’altro giorno sullo stop alle auto a benzina entro il 2035, il Ppe si è spaccato. Un’ottima notizia per il Piano europeo di Giorgia Meloni.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.