Il Consiglio straordinario dell’Unione Europea, convocato per discutere di Ucraina, migranti e crisi economica, finisce per mettere in luce i limiti e le criticità nel dialogo con Bruxelles del governo più a destra d’Europa. Giorgia Meloni aveva fatto precedere l’arrivo a Bruxelles dai fulmini contro Macron (e Scholz), colpevoli dello “sgarbo” di averla esclusa dalla cena (improvvisata, rivela Politico.eu) con Zelensky.

Ieri davanti ai 27 Meloni ha provato a fare buon viso a cattivo gioco: “Oltre ai due leader che hanno incontrato Zelensky, ne sono rimasti fuori 25”, ha detto la premier. Che ieri ha svestito i panni della Maddalena per rimettere quelli trionfali: “Sono estremamente soddisfatta dei risultati ottenuti dall’Italia. Importantissimi passi in avanti compiuti in alcune materie particolarmente complicate. Abbiamo chiesto che la Commissione faccia una proposta su un fondo europeo dedicato alla sovranità strategica e flessibilità nell’utilizzo dei fondi europei”. E poi: “Porto a casa un approccio cambiato sui migranti”.

Gli strappi però ci sono – soprattutto tra Roma e Parigi – e non si rammendano in fretta e furia. Così, tra una rivendicazione di successo e l’altra, Meloni nella conferenza stampa a margine del Consiglio straordinario interpreta la volpe e l’uva: “Se fossi stata invitata all’Eliseo per l’incontro con Zelensky avrei consigliato di non fare quella riunione perché a noi sull’Ucraina interessa soprattutto dare un messaggio di compattezza”. Ma il punto non è il gelo con la Francia. Figuriamoci. “Non è questo il punto. A me non interessa stare in una foto che non condivido”. Non le interessa, prosegue, “Chi pensa ad una Ue di serie A e serie B”. Perché “chi pensa che l’Europa debba essere un club in cui c’è chi conta di più e di meno, sbaglia. Secondo me quando si dice che l’Ue ha una prima classe e una terza classe, vale la pena ricordarsi del Titanic. Se una nave affonda non conta quanto hai pagato il biglietto”, commenta la presidente del Consiglio.

Mentre la conferenza stampa di Bruxelles è ancora in corso, da Roma si fa sentire Matteo Salvini:Ho sentito Giorgia, se riusciamo a portare a casa una sveglia in Europa sul tema dell’immigrazione è bene. Devo dire che un certo atteggiamento di spocchia da parte di Macron è incomprensibile. Nel momento in cui c’è la guerra, c’è il caro delle materie prime, i cinesi mandano i palloni spia in giro per il mondo, Macron pensa di fare da solo? – continua il vicepremier e ministro – Non penso che andrà lontano, non penso che sia una manifestazione di europeismo, di solidarietà e di acume politico”.

Sui migranti il governo prenota una medaglia da appuntarsi sul petto, e da Meloni a Salvini al ministro per i rapporti con la Ue, Fitto è tutto un rivendicare una importante vittoria. Quale? Sui migranti la dichiarazione congiunta è pallida. “Il Consiglio europeo ha chiaramente riconosciuto che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”, ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Incalzata dalla delegazione italiana e da quelle di Ungheria e Polonia avrebbe finito per inserire qualche misura sul rafforzamento dei confini e l’esternalizzazione della questione. Così, l’accordo tra i 27 Stati membri non è andato nella direzione di una maggiore solidarietà europea, ma sul rafforzamento di quella che dalle parti delle destre europee amano definire la fortezza Europa. Von der Leyen concede: “Siamo molto chiari sulla gestione delle frontiere. Una barriera non basta. Servono telecamere, strade lungo le barriere per pattugliarle, torrette di sorveglianza, veicoli. Lo scopo è avere un confine funzionante, è mostrare che abbiamo procedure funzionanti al confine”.

Un’impostazione che non può andare giù ai governi progressisti come dimostra la reazione dello spagnolo Pedro Sanchez, secondo cui “il fenomeno migratorio, il traffico di esseri umani e le migrazioni irregolari non si risolvono con barriere o muri più alti”, ma attraverso il “rafforzamento della cooperazione e la collaborazione con i Paesi di transito e di origine”. E se la redistribuzione interna va in cavalleria, poco male. “E’ uno specchietto per le allodole, una misura in cui non ho mai creduto molto”. Poco muscolare, in effetti. Meglio lavorare alla “Fortezza”, ai nuovi muri. Da edificare chissà dove, lungo la penisola. Forse sulle spiagge. Più facile mettere in atto aiuti militari per l’Ucraina, altra grande questione del vertice europeo.

L’altro appuntamento del summit, quello per ascoltare le parole di Zelensky, ha lasciato un’eco di emozione trasversale a tutte le sensibilità politiche. “È stato emozionante. Zelensky ha avanzato richieste chiare all’Europa: sostegno militare, finanziario, ingresso nell’Ue”, riferisce Camilla Laureti, eurodeputata del Pd.Sono queste le sfide che abbiamo davanti, parallelamente all’impegno imprescindibile per arrivare, il prima possibile, ad un cessate il fuoco. Perciò è fondamentale l’unità dell’Europa e preoccupa la pagina scritta dal governo Meloni, soprattutto se paragonata all’immagine in treno di Draghi, Macron e Scholz. Mi auguro- ha concluso- che il governo si rimetta in asse con i paesi fondatori e non resti isolato in un angolo con la sola compagnia dei paesi di Visegrad”.

Stessa immagine per Mara Carfagna, Terzo polo: “Eravamo abituati a vedere l’Italia di Draghi viaggiare nel vagone di testa dell’Europa, con Francia e Germania, ieri invece l’Italia è rimasta a terra e fuori dalla porta dei vertici che contano. Sicuramente non è un bene per l’Italia e da italiana non gioisco”. Per Giuseppe Conte, M5S: “Meloni dovrebbe alzare l’asticella, stiamo facendo passi indietro”, dice con riguardo ai pugni che avrebbe sbattuto, rievoca, sui tavoli di Bruxelles durante i suoi governi. Il vertice europeo, con i lavori di backstage conclusi alle due e trenta della nottata tra giovedì e venerdì, tradisce una difficoltà crescente nel trovare una sintesi.

Gli sherpa parlano di ore febbrili per trovare non solo un accordo, ma la formula per raccontarlo: il “wording” finale. Gli Stati si sono presentati divisi in gruppi, persino a geometria variabile, su buona parte dei punti all’ordine del giorno. Sull’Ucraina tutti d’accordo, sui migranti meno. Italia e Olanda uniti per la prima volta contro Macron e Scholz. Alla fine, un compromesso che ciascun governo può rivendicare pro domo sua.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.