Salute
Nel 2020 un virus ci ha ricordato cosa vuol dire essere umani
Il tempo scorre senza più una spiegazione. Folle, irrazionale, inspiegabile, ansioso, lento, infinito e senza requie. Tra flussi di notizie, vivi, morti, ammalati che la scienza beffardamente trasforma in “positivi”, peggio dei referendum nei quali devi votare no per dire in realtà sì e viceversa. Due settimane che, in maniera illogica, ti sembrano due secoli o due giorni. Senza via di mezzo.
Un tempo in cui scienziati e medici di prim’ordine hanno preso il posto degli opinionisti di sempre e si accapigliano garbatamente o al massimo a colpi di tweet con l’obiettivo algido di diffondere verità incontrovertibili fino a prova contraria. Fatto sta che nel villaggio che dovrebbe essere la sala da ballo (in solitaria) della razionalità, è in realtà l’angoscia a dominare i giorni.
La paura di qualcosa che non si vede ma di cui temere gli effetti sui più cari affetti che vorresti abbracciare, stringere, baciare ma non puoi. Perché il rischio e la tenerezza ormai definitivamente coincidono. Un tempo forzatamente persino senza Dio. O meglio con un Dio solo trascendente che non si transustanzia più. Perché un decreto ha deciso così. Dura da spiegare ai fedeli cristiani che fondano la loro fede sul mistero di una incarnazione.
Improvvisamente nel 2020 il Verbo non si fece più carne ma diventò digiuno. In una quarantena che con tragica e forse sensatissima ironia coinciderà con la Quaresima. E, sia pure da un domicilio coatto ovviamente per tutti faticoso da sopportare, la via d’uscita e la sua ancora imprecisabile data, pare possano dipendere molto proprio da quanto sapremo tenere a bada la nostra hybris, ovvero quella tracotanza umana tipica degli uomini che si sentivano divinità ed era all’origine dell’ira degli dei nelle tragedie dell’antica Grecia.
Per uscire il prima possibile da quest’incubo virale dovremo riflettere anzitutto umilmente e al chiuso di una casa sulla nostra natura di piccoli uomini, smettendola di sentirci santoni della tecnologia grazie a una religione 5g capace di sostituire i contatti sociali con le finte amicizie social. Dovremo resistere e cominciare a desiderare di nuovo il contatto umano nell’opera davvero meritoria di schivare il più possibile il morbo sconosciuto.
Nell’attesa che tutto finisca e il maggior numero di persone colpite, di ogni età, possa raccontare questa inattesa e quasi inspiegabile odissea, pronti e consapevoli di dover fronteggiare anche l’onda economica di ritorno, dobbiamo indossare l’elmetto della pazienza, del coraggio, della speranza e della solidarietà. Parlando (al telefono) con i nostri cari anziani e coi malati di altre patologie, convincendoli a proteggersi al meglio, restando a casa. Perché il futuro ci sarà solo se capiremo davvero che la socialità e la condivisione vera (non sui social) di istanti, giorni, ore, gioie e dolori sono la radice più autentica di ciò che vuol dire essere umani. Ce lo doveva ricordare un virus.
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