Se non è vero quel che dicono gli avvocati, e cioè che i magistrati sono come i suini, e se ne tocchi uno gridano tutti, che senso ha questa pratica a tutela chiesta al Csm in favore delle toghe genovesi? Sono proprio insofferenti alle critiche, certi magistrati. Così i consiglieri di Area e di Unicost, cui si sono affiancati l’indipendente Roberto Fontana e Domenica Miele di Md, entrano in campo a gamba tesa per difendere i colleghi genovesi che stanno tenendo prigionieri Giovanni Toti e gli altri indagati dell’inchiesta ligure per corruzione dal 7 maggio. E si scatenano contro due ministri, Guido Crosetto e Nello Musumeci, cui imputano di aver “generato un clima su cui alcuni giornali si sono inseriti con articoli offensivi nei confronti dei singoli colleghi e per l’esercizio della giurisdizione”. Nessuno mi può giudicare, dunque. Solo loro.

Però a molti di noi pare strano, per esempio, che un’inchiesta porti il timbro dell’antimafia solo perché uno degli indagati dalla procura di La Spezia, da dove è partito tutto, è un siciliano con parentele “sospette”. Ma questo indagato non è neppure stato arrestato, però la sua sola presenza nell’indagine ha consentito alla procura di contestare l’aggravante mafiosa e di conseguenza ottenere le intercettazioni e tutti i vantaggi conseguenti per i rappresentanti dell’accusa. Fino a poter controllare il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti per circa quattro anni. Periodo in cui non è stato trovato alcun arricchimento personale, né finanziamenti illegali. Ma solo quattro versamenti, il cui totale ammonta a 74.000 euro, effettuati dall’imprenditore Aldo Spinelli in diverse tornate elettorali e regolarmente registrate. Che sarebbero il piatto di lenticchie della corruzione. Perché in cambio Toti, cui non spettava neppure quella decisione, si sarebbe adoperato per far  avere all’imprenditore il rinnovo per trent’anni della concessione per il terminal Rinfuse. Operazione impegnativa economicamente e di buona amministrazione.

Il succo della “corruzione” è tutto lì. Pure la gip Paola Faggioni ha impiegato cinque mesi dalla richiesta del pm per emettere l’ordinanza per le misure cautelari. E le ha motivate anche con il rischio che da libero Giovanni Toti avrebbe potuto ripetere il reato in vista delle elezioni europee dell’8 giugno. Poi il governatore è stato interrogato e ha rivendicato la propria correttezza, in otto lunghe ore punteggiate da 180 domande ed altrettante risposte. Ha “confessato” tutti i peccati, trasformandoli in atti di efficienza e attenzione allo sviluppo della sua regione. A quel punto, fatto il compito, il difensore Stefano Savi ha chiesto che si superasse lo stato di detenzione del suo assistito e che gli fosse restituita la libertà. Anche libertà di riprendere a esercitare le funzioni cui l’hanno delegato, per due volte, i cittadini liguri. Ha atteso che si superassero le elezioni europee, durante le quali il presidente Toti avrebbe potuto di nuovo “peccare”.

E arriviamo alla seconda ordinanza, quella in cui si è stabilito che se mi dai il dito ti chiedo il braccio e se mi concedi il braccio voglio il corpo intero e poi anche la tua anima. Ma tu, dalle manette domestiche non esci. Perché questa è la sintesi di un documento di una giudice che, ancora una volta allineata al parere dell’accusa, sostiene che le elezioni in cui sicuramente Toti peccherà saranno le regionali del 2025. Quindi niente libertà. Ma si può criticare l’inverosimile di questa ordinanza senza che qualcuno ci sguinzagli dietro i mastini del Csm? E non è finita. Perché nei giorni scorsi, dalle solite segretissime stanze della procura genovese è uscito come un bisbiglio sinistro l’aggettivo “immediato” affiancato al sostantivo “processo”. A quanto pare, ma è solo un’ipotesi giornalistica dei bene informati, la procura potrebbe decidere di saltare l’udienza preliminare e andare subito in aula. Con gli indagati ancora in manette.

Strana ipotesi, visto che solo pochi giorni fa ci avevano fatto sapere di avere ancora moltissimi testimoni da sentire, tutta quanta la Regione, in particolare. Se invece l’inchiesta è conclusa, perché non consentire agli indagati-imputati di seguire il processo da liberi? Tanto non scappano, tranquilli. Ma un altro dubbio solca la nostra fronte. Non è che nei turni tabellari del palazzo di giustizia di Genova c’è qualche giudice che nella veste di gup potrebbe non allinearsi? Ulteriore malizia di giornalista da riferire subito al Csm.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.