Mettiamo in fila i fatti e poi ciascuno si fa l’idea che vuole. Qualche settimana fa il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, organizza una conferenza stampa. Davanti a una foresta di microfoni e telecamere, illustra i tratti dell’operazione di rastrellamento che ha condotto all’arresto di trecentotrenta persone. Spiega che si tratta del compimento di una “rivoluzione” alla quale pensa dal momento in cui ha preso posto in quel suo ufficio, una rivoluzione intesa a «smontare la Calabria come un trenino Lego, e poi rimontarla pian piano». Qualche giorno dopo, su Twitter, scrive: «‘Ndrangheta, la maxi-operazione scompare dalle prime pagine dei grandi giornali: niente su Stampa e Repubblica, un box sul Corriere».

Gli dispiaceva dunque che i giornali, quelli “grandi”, non avessero nella dovuta maniera divulgato la notizia della “rivoluzione”. Non gli dispiaceva invece che i giornali riferissero che lui «sta ripulendo la Calabria», e allegava l’articolo in cui si spiegava che la politica in quella regione è «una montagna di merda». Ora ci pare che questi messaggi non appaiano più nel profilo Twitter del dottor Gratteri, ma siamo certi del fatto che non negherà di averli pubblicati. I fatti proseguono con il dottor Otello Lupacchini, sino a qualche giorno fa procuratore generale di Catanzaro, che, in merito alla “rivoluzione” e ai modi con cui il dottor Gratteri ne fa promozione, dice in buona sostanza due cose. La prima: che non gli piace troppo la spettacolarità di certe operazioni, le quali, a suo giudizio, si rivelano spesso evanescenti e improduttive di risultati. E la seconda: che le informazioni su queste faccende, sempre a suo giudizio, dovrebbero essere condivise tra gli uffici piuttosto che affidate a giornali e televisioni.

E i fatti finiscono (siamo a questi giorni) con il dottor Lupacchini degradato e trasferito a Torino. Se abbiamo ben capito (non siamo del ramo…) a eccitare il procedimento che ha portato a questa misura disciplinare è stato il concerto delle istanze del ministro della Giustizia, l’avvocato Bonafede, e del procuratore generale della Cassazione, dottor Salvi, istanze poi accolte dal Csm il quale appunto ha rimosso dal vertice del distretto di Catanzaro Lupacchini e lo ha spedito, in rango subordinato, all’ufficio piemontese. Che dirne? Il difensore di Lupacchini ne dice peste e corna.

Su alcune si sarebbe spinti a dargli credito alla cieca, per esempio quando denuncia che la richiesta del ministro Bonafede era “disseminata di errori perfino grammaticali”. Per il resto, com’è suo diritto, lamenta che il suo assistito è vittima di un provvedimento ingiusto, politicamente orientato e che ha fatto sacrificio del diritto del dottor Lupacchini a una compiuta difesa. Non abbiamo elementi né la competenza sufficiente per esprimere un giudizio in proposito. Ma quel che da profani si può osservare è che si tratta di una giustizia molto mal bilanciata: sbilenca proprio, diremmo. Perché da un lato c’è quello che arresta centinaia di persone e fa (e pretende dai giornali) l’elogio del suo lavoro, quando poi fioccano i provvedimenti che liberano una quantità di quei detenuti perché la misura cautelare si rivela ingiustificata.

E dall’altro lato c’è quello che esprime, magari anche in modo appuntito, perplessità sulle maniere di quel modo di procedere: e perciò viene punito pur davanti alla riprova che forse non andavano arrestati tutti e che, in ogni caso, la concione dell’”uomo immagine” che spiega ai giornalisti i suoi sogni di una Calabria ribaltata non costituisce il profilo inevitabile di un ufficio giudiziario.
È bene intendersi, dunque. Il magistrato avvezzo alla ribalta meglio farebbe a dismettere l’abitudine. Ma non è che lo censuriamo anziché celebrarlo se si azzarda a criticare l’amministrazione della giustizia piuttosto che cantarne le gesta eroiche.

Dopo di che potrà anche essere che la presenza in Catanzaro del dottor Lupacchini, per aver egli usato parole inopportune, sia da giudicarsi incompatibile. Qualcuno tuttavia avrà pure il diritto di pensare che certe rivoluzioni in favore di telecamera si segnalano per incompatibilità anche più gravi, che mettono in sofferenza beni più importanti: la civiltà del Paese, lo Stato di diritto.