Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione immigrazione e diritti civili del Tribunale di Roma, non dovrà essere trasferita a Bologna. Lo ha deciso il Tar del Lazio che ha accolto questa settimana la sospensiva del suo trasferimento disposto dal Consiglio superiore della magistratura. La vicenda, di cui si era occupato in esclusiva il Riformista lo scorso 18 ottobre, aveva avuto vasta eco fra le toghe al punto che Silvia Albano, esponente di punta di Magistratura democratica, decise di scrivere una appassionata lettera in difesa della collega, fra i più stimati e competenti giudici esperti di diritto dell’immigrazione.

Albano, in particolare, aveva chiesto conto della grave ingiustizia a Giuseppe Cascini, altro storico esponente della sinistra giudiziaria romana, che ne aveva perorato il trasferimento al Csm. Si era anche evidenziata la possibile connessione con le indagini di Perugia a carico di Luca Palamara ed il fatto che il trasferimento potesse costituire un ‘puntello’ per le traballanti imputazioni elevate a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Il motivo? Sangiovanni aveva scambiato con Palamara alcuni messaggi con i quali aveva fornito informazioni pubbliche di un procedimento civile che riguardava un amico di quest’ultimo e che, secondo la Procura di Perugia, per tali informazioni gli avrebbe corrisposto delle utilità.

La Prima sezione del Tar del Lazio, come detto, ha sospeso l’esecutività della delibera di trasferimento adottata dal Csm by David Ermini rilevando che “il ricorso presenta profili di non manifesta infondatezza, con riferimento, in particolare, all’insussistenza di strepitus e alla apparente tenuità del disvalore delle conversazioni di cui in atti”. In altri termini, i giudici amministrativi hanno evidenziato come le conversazioni intrattenute siano di tenue disvalore da non giustificare il provvedimento adottato. La decisione del Tar era, comunque, prevedibile a fronte di altre conversazioni intrattenute con Palamara da esponenti della sinistra giudiziaria che nessuna conseguenza hanno per ciò subito né a livello disciplinare né con l’apertura di pratiche di trasferimento da parte del Csm.

Si tratta delle ben note vicende di pubblico dominio, ad esempio quello del giudice della Cassazione ed ex parlamentare del Pd Donatella Ferranti, quella del magistrato della Dna ed ex segretaria di Magistratura democratica Anna Canepa, quella dell’Avvocato generale della stessa Procura generale Piero Gaeta nei confronti dei quali nulla è stato fatto benché vi fossero contatti diretti e indiretti con Palamara, condizionamento di nomine, peraltro perfettamente riuscito, denigrazione dei concorrenti. Insomma, il Csm aveva fatto la faccia feroce solo con chi si occupa in questo Paese di migranti.