Luca Palamara da ieri non è più un magistrato. Le Sezioni unite civili della Cassazione hanno confermato la radiazione dall’ordine giudiziario per l’ex presidente dall’Associazione nazionale magistrati.

In quasi duecento pagine di provvedimento, relatore Enzo Vincenti, i giudici di piazza Cavour hanno respinto il ricorso di Palamara contro la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dello scorso ottobre.

Palamara, dunque, avrebbe posto in essere attività per “condizionare in modo occulto l’attività del Csm” per le nomine dei procuratori di Roma e di Perugia, proponendosi egli stesso come procuratore aggiunto della Capitale dopo aver cercato di delegittimare Paolo Ielo.

«Rispetto la decisione che però ritengo ingiusta perché so per certo di non aver mai leso le prerogative del Csm. Pago perché qualcuno ha ritenuto che io mi fossi intromesso nella scelta del procuratore di Roma e per aver sostenuto posizioni evidentemente non gradite», ha commentato Palamara all’Adnkronos dopo la decisione della Cassazione. «Il mio impegno per la legalità, per l’affermazione della verità e per squarciare il velo di ipocrisia prosegue. Porterò il caso in Europa, in attesa di tutti gli accertamenti sul trojan tuttora in corso», annuncia.

L’ormai ex magistrato si era difeso pancia a terra in questi mesi sostenendo in tutte le sedi che l’incontro serale dell’hotel Champagne era un semplice confronto su temi importanti, negando la volontà di interferire con le nomine. Palamara, in particolare, aveva definito l’incontro «un laboratorio politico istituzionale di teste pensanti e volenterose rispetto al problema del più importante ufficio giudiziario italiano».

Di diverso avviso, invece, la Cassazione secondo cui dietro quell’appuntamento, al quale aveva partecipato anche l’ex ministro Luca Lotti, all’epoca imputato a Roma nel processo Consip, vi fosse «una strategia unitaria da parte di Palamara, a ricercare una soluzione di discontinuità rispetto alla gestione Pignatone». Fatti considerati gravissimi e di particolare «dispregio verso regole codificate e standard».

Palamara, comunque, nei giorni scorsi aveva presentato una denuncia contro due dei componenti della sezione disciplinare del Csm che lo aveva radiato: Piercamillo Davigo e Fulvio Gigliotti. I due avrebbero violato l’obbligo di astensione.

Davigo, nei giorni scorsi, in una intervista aveva affermato di aver mostrato i verbali delle dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara a Gigliotti. Gigliotti, all’atto del decidere, avrebbe quindi utilizzato informazioni di cui era già a conoscenza rispetto a quello che doveva essere il materiale utilizzabile ai fini della decisione. Inoltre Davigo sarebbe stato anche a conoscenza dei contenuti dell’esposto presentato dall’ex pm romano Stefano Rocco Fava. Alcune delle incolpazioni nei confronti di Palamara riguardano proprio Amara, indagato in alcuni procedimenti pendenti innanzi alla Procura di Roma.

Altri elementi a supporto della tesi di Palamara, quindi della preordinata violazione dell’obbligo di astensione di Gigliotti e Davigo nel procedimento disciplinare a suo carico, arriverebbero anche dal fatto che cinque componenti della sezione disciplinare si sono recentemente astenuti dal giudizio disciplinare promosso dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi contro il pm milanese Paolo Storari.

«Appare evidente come il pregiudizio» di Gigliotti e Davigo «non solo fosse palese ma si fosse concretamente estrinsecato anche in sede di ammissione delle prove a discarico atteso che, pur apparendo necessario a chiunque, la Sezione disciplinare ha addirittura ritenuto di dover escludere la testimonianza di Fava».