Quando c’è di mezzo Piero Amara, le sorprese non finiscono mai. Trapelano in queste ore, infatti, ulteriori particolari dall’interrogatorio reso dall’ideatore del Sistema Siracusa – nonché principale accusatore dell’ex zar delle nomine Luca Palamara – lo scorso 10 giugno davanti al gip di Potenza. Particolari “sfuggiti” alla disamina del Corriere della Sera che la scorsa settimana in esclusiva aveva pubblicato la notizia della deposizione di Amara, avvenuta qualche giorno dopo il suo arresto da parte della Procura lucana in una indagine per corruzione. Il quotidiano di via Solferino aveva concentrato la sua attenzione, seguendo una linea “consolidata” da maggio del 2019, sempre sulle parti dell’interrogatorio relative al famoso dopo cena dell’hotel Champagne di Roma con Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti.

Nelle circa 80 pagine di interrogatorio di Amara ci sono, invece, altri aspetti forse più interessanti. Ad esempio, l’accusa di Amara nei confronti del procuratore generale di Messina Vincenzo Barbaro di avere reso ai pubblici ministeri di Perugia “dichiarazioni palesemente false” circa i suoi rapporti con Palamara. Amara, a tal proposito, afferma che “per fortuna Cantone” sa chi ha detto la verità e chi invece ha mentito, formulando un invito agli inquirenti di Potenza a “sentire” l’ex capo dell’Anac per ricevere lumi, anche perché a Perugia “hanno modificato il capo di imputazione a Palamara sulla base delle mie dichiarazioni”. Sennonché Barbaro, interrogato l’11 marzo scorso dai pm del capoluogo umbro aveva dichiarato, senza mezzi termini, di «considerare calunniose le dichiarazioni dell’avvocato Amara» e, soprattutto, di non aver incontrato Palamara dopo le riunioni di coordinamento con la Procura di Roma del 14 febbraio 2017 e del 15 marzo 2017. Alla domanda posta da Cantone – “si è incontrato con Luca Palamara dopo le riunioni del 14 febbraio 2017 e del 15 marzo 2017?”, Barbaro aveva risposto stizzito “assolutamente no”, portando come testimoni anche due colleghi con i quali era ripartito per Messina dopo la prima riunione, e rispondendo in maniera certa anche sulla seconda riunione.

A riprova degli stretti rapporti intrattenuti da Amara con la Procura di Perugia, nell’interrogatorio che gli ha poi permesso di essere scarcerato, l’avvocato siciliano afferma di aver “costretto” Centofanti (Fabrizio, faccendiere accusato di aver corrotto Palamara con pranzi e cene, ndr) a pentirsi a Perugia. In effetti alla data in cui Amara rendeva dichiarazioni a Potenza, il 10 giugno 2021, nulla si sapeva del “pentimento di Centofanti a Perugia” poiché i verbali di costui, dell’1 giugno e del 9 giugno precedenti, erano stati depositati dai pm di Perugia all’udienza a carico di Palamara, dell’ex procuratore generale Riccardo Fuzio e dell’ex pm romano Stefano Rocco Fava, nel procedimento per rivelazione del segreto, soltanto il giorno dopo, l’11 giugno. Essendo Amara stato arrestato dalla Procura di Potenza la mattina dell’8 giugno 2021, sarebbe interessante capire come possa avere avuto notizie segrete sulle indagini perugine in corso.

Amara, inoltre, ha parlato come al solito di Fava che è stato l’unico magistrato che sin dall’inizio non gli ha creduto e che lo voleva arrestare e sequestrargli l’ingente patrimonio. Dice di non aver collaborato con la Procura di Roma proprio perché c’era Fava e perché sapeva «del rapporto fortissimo tra Fava e Palamara». Ed inoltre perché c’era Cascini (aggiunto a Roma, ndr) «che se ne doveva andare al Csm grazie a Luca Palamara… perché lui a tutti i costi doveva andare al Csm e Tescaroli (Luca, altro pm romano, ndr) se ne doveva andare a fare… da un’altra parte». Sennonché Fava è da quasi due anni al Tribunale di Latina, trasferito d’ufficio dal Csm, proprio perché voleva arrestare Amara e costui ha iniziato a “collaborare” con la Procura di Milano a novembre del 2019 quando Fava non era più pubblico ministero in servizio a Roma da molti mesi.

Nulla quindi avrebbe impedito ad Amara di collaborare a Roma visto che Cascini, Tescaroli e Fava non erano più in servizio nella Capitale da alcuni anni. Dalle chat e dagli sms risulta, inoltre, che il “rapporto fortissimo” Palamara lo aveva con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, con Cascini e con Tescaroli, per questioni di nomine, mentre tra Fava e Palamara non è stato rinvenuto alcun messaggio, neppure per gli auguri di Natale, e mai Fava ha chiesto a Palamara di interessarsi alla sua carriera come invece hanno fatto gli altri magistrati che insieme a lui indagavano su Amara. Risulta, infatti, dalle intercettazioni a mezzo trojan che Pignatone fece pressioni su Palamara per la nomina di Ielo e di Rodolfo Sabelli come aggiunti, e che Cascini e Tescaroli avevano frequenti rapporti con l’ex presidente dell’Anm. Di fatto l’unico dei pm che indagava su Amara a non avere il “rapporto fortissimo” con Palamara era proprio Fava.

(Fine prima puntata – segue)