Oltre il danno la beffa per l’ex pm romano Stefano Rocco Fava. La Procura di Potenza questa settimana ha arrestato l’avvocato Piero Amara e lui, che avrebbe voluto farlo già agli inizi del 2019, finisce sul banco degli imputati proprio a causa di questo mancato arresto. La storia di Fava, attualmente giudice civile al Tribunale di Latina, ricorda molto da vicino la trama di un film di Luis Bunuel. Fava, prima di essere trasferito, ha prestato servizio per anni presso il dipartimento reati contro la pubblica amministrazione della Procura di Roma, a oggi coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo. Sul finire del 2018 il pm in una sua indagine si imbatte in Amara, allora un avvocato di provincia divenuto famoso per aver creato il “Sistema Siracusa”, l’associazione di professionisti, imprenditori e magistrati, nata per pilotare i processi e aggiustare le sentenze, soprattutto al Consiglio di Stato.

Amara, classe 1969 da Augusta, dal 2002 era legale esterno per l’Eni con incarichi tutti molto ben retribuiti. A settembre del 2016 8 pm su 11 della Procura di Siracusa avevano scritto al Ministero della giustizia evidenziando “gravi anomalie nelle gestione dei fascicoli” e mettendo fine a questo periodo professionalmente felice per Amara. Con l’aiuto dal pm Giancarlo Longo, che crea fascicoli “specchio” con cui controllava quello che facevano i colleghi, fascicoli “sponda” che servivano a tenere in piedi attività in vista di eventuali sviluppi, e fascicoli “minaccia” aperti nei confronti di chi intralciava i piani criminosi, Amara non aveva concorrenti. A febbraio del 2018 Amara e Longo vengono dunque arrestati in una operazione congiunta delle Procure di Messina e Roma. In carcere Amara rimane poco e, tornato in libertà, inizia una “collaborazione” con i magistrati rendendo “ampie confessioni”.

Anche se il pg di Messina Felice Lima descriverà l’accaduto come una delle più estese e spudorate corruzioni sistemiche mai realizzate nella storia italiana. Il patteggiamento lo mette al riparo da sequestri e confische.
Fava non crede che Amara stia dicendo tutto ciò di cui è a conoscenza. E, pertanto, chiede un nuovo arresto per altre corruzioni. È “reticente verso i soggetti con cui si interfaccia”, scrive il pm, che evidenzia anche rapporti poco chiari con il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo, quelli che saranno alla base dell’arresto di questa settimana da parte della Procura di Potenza. “Sulla vicenda Capristo non mi sembrano spendibili”, scriverà Ielo in risposta a Fava. Amara, in particolare, aveva ricevuto ingenti somme, circa 25 milioni di euro, di cui non era in grado di giustificare la ragione e che nessuno gli sequestrerà mai. «Ritengo utile risottoporre a intercettazioni Amara perché è iniziato l’accertamento tributario su Napag (una sua società, ndr) da parte dell’Agenzia delle Entrate e per le attività di indagine che dovremo compiere presso Eni. Analogamente si potrebbe procedere con Fabrizio Centofanti (altro faccendiere, ndr) per capire se mantiene la sua rete relazionale», fa presente Fava.

Ielo, e l’allora procuratore Giuseppe Pignatone, la pensano in modo diverso e non danno il loro assenso. Seguono momenti di grande tensione in Procura. Fava evidenzierà anche i legami di Amara con i fratelli di Pignatone e di Ielo, entrambi avvocati. Sembrerebbe che il fratello di Pignatone, Roberto, abbia ricevuto importati pagamenti per attività professionali da Amara. Amara viene assistito dall’avvocato Salvino Mondello in rapporti di amicizia con Ielo, che aveva avanzato a tal riguardo istanza di astensione, rigettata da Pignatone. Il 5 marzo il fascicolo a carico di Amara viene definitivamente tolto a Fava. Il magistrato, allora, decide di segnalare al Csm quanto sta accadendo.

L’esposto a Palazzo dei Marescialli, di cui si sono perse le tracce – l’unica cosa certa è che dovrebbe essere presso la Settima commissione – diventa il segno di una campagna di delegittimazione di Pignatone e Ielo. Fava che voleva solo segnalare anomalie nel modo in cui gli era stato tolto il fascicolo avrebbe quindi agito per conto di Luca Palamara che era intenzionato a vendicarsi nei confronti dei due magistrati per altre vicende. Ed ecco che Fava, espropriato dell’indagine, si trova ora indagato a Perugia con l’accusa di aver posto in essere un dossieraggio. Domani è in programma l’udienza preliminare. Nel procedimento Ielo e Pignatone sono parti offese. Fava viene chiamato in causa per degli articoli usciti a maggio del 2019 in cui si faceva riferimento ad asseriti conflitti di interesse di Ielo e Pignatone. Gli autori degli articoli, sentiti dai pm, negheranno di aver avuto notizie da Fava. Oltre al procedimento penale Fava è poi anche sotto disciplinare al Csm.

La vicenda sorprendente è che Amara ha commesso reati “ininterrottamente dal gennaio del 2015 al 23 luglio 2019”, come come scrivono i pm di Potenza. E in quel periodo Amara, il principale teste d’accusa nei confronti di Palamara, era sotto intercettazione del Gico della guardia di finanza di Roma. Amara parlava tantissimo, centinaia le conversazioni intercettate, ma per il Gico nulla di interessante sotto il punto di vista investigativo. Sul fronte Csm si segnala ieri la decisione di archiviare il fascicolo relativo all’altro procuratore aggiunto di Roma, Antonello Racanelli, che era stato aperto nell’ambito della valutazione sulle posizioni dei magistrati coinvolti nelle conversazioni e nelle chat di Palamara.

La decisione, che quindi fa venire meno un provvedimento di trasferimento d’ufficio, è stata approvata a maggioranza con 15 voti a favore, 2 contrari, i laici Stefano Cavanna (Lega) e Fulvio Gigliotti (M5s) e 6 astensioni, quasi tutti i togati di Area. Il consigliere Giuseppe Cascini, ex aggiunto a Roma, non ha partecipato al voto. Nella delibera approvata si legge: “Non risulta che attualmente vi sia una perdita di imparzialità ed indipendenza di Racanelli tale da compromettere l’esercizio della giurisdizione nella sede”.