È una procedura “irrituale”. Il Consiglio superiore della magistratura si muove “solo con atti formali” e “procedure codificate”. Ogni notizia estranea ai canali “istituzionali” è “irricevibile”. In caso contrario, la procedura “scorretta” potrebbe “amplificare voci non riscontrabili”.

L’inoltro dei verbali dell’interrogatorio di Piero Amara da parte del pm di Milano Paolo Storari a Piercamillo Davigo è stato accompagnato da una serie infinita di critiche. Tutti a dare addosso all’operato del pm milanese che ha voluto portare in questo modo a conoscenza Davigo dell’inerzia dei vertici della sua Procura, restii ad approfondire le dichiarazioni di Amara, l’avvocato siciliano ideatore del Sistema Siracusa, sull’esistenza della loggia super segreta denominata Ungheria. Su quanto accaduto alla procura di Milano, il procuratore di Brescia Francesco Prete ha formalmente aperto un fascicolo. Mentre oggi Davigo è atteso dai pm a Roma come teste nell’ambito dell’indagine a carico della sua ex segretaria Marcella Contrafatto, accusata di aver diffuso in forma anonima ad alcuni giornali i verbali secretati degli interrogatori di Amara. Ma cosa succede ad un magistrato quando decide di segnalare in modo “rituale” che qualcosa nel proprio ufficio non funziona?

L’esperienza del pm Stefano Rocco Fava è molto esaustiva al riguardo. Fava, di origini calabresi come l’ex zar delle nomine Luca Palamara, lavorava al dipartimento reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Roma. Uno degli uffici inquirenti più importanti del Paese. A dirigerlo è l’aggiunto Paolo Ielo, magistrato molto noto per essersi sempre occupato, fin dai tempi di Mani pulite a Milano, di indagini sui colletti bianchi. In uno dei fascicoli che ha in carico, Fava si imbatte in Amara. Siamo nel 2018 e Amara, dopo essere stato arrestato agli inizi di febbraio in una operazione congiunta delle Procure di Messina e Roma, è tornato in libertà ed ha iniziato una “collaborazione” con i magistrati. Fava non crede che Amara stia dicendo tutto ciò di cui è a conoscenza. E, pertanto chiede il suo arresto per l’ipotesi di bancarotta.

Ielo, e l’allora procuratore Giuseppe Pignatone, la pensano in modo diverso e non danno il loro assenso.
Seguono giorni di grande tensione e Fava arriva ad evidenziare in una nota i legami di Amara con i fratelli di Pignatone e di Ielo, entrambi avvocati. Ci sarebbero, insomma, mancate astensioni in questi fascicoli. Amara, poi, era assistito da Salvino Mondello in rapporti di amicizia con Ielo, che aveva avanzato a tal riguardo istanza di astensione, rigettata da Pignatone. Il 5 marzo il fascicolo a carico di Amara viene tolto a Fava. Il magistrato, allora, decide di segnalare al Csm quanto sta accadendo. E a quel punto succede il caos. Totale.

L’esposto a Palazzo dei Marescialli finisce per essere il frutto di una campagna di delegittimazione di Pignatone e Ielo. In pratica, Fava agirebbe per conto di Palamara che aveva intenzione di vendicarsi nei confronti dei due magistrati. Il pm calabrese si trova indagato a Perugia con l’accusa di aver posto in essere un dossieraggio. Viene chiamato in causa per degli articoli usciti il 29 maggio 2019 sul Fatto e sulla Verità in cui si faceva riferimento a Ielo e Pignatone per tali vicende. I giornalisti, sentiti dai pm, negheranno di aver avuto notizie da Fava. Ma tant’è. Nel procedimento di Perugia Ielo e Pignatone sono parti offese. Poi scatta, ovviamente, il disciplinare al Csm e, per non farsi mancare nulla, il trasferimento d’ufficio. Dopo aver fatto sempre il pm, Fava si ritrova dalla sera alla mattina giudice civile a Latina. E su questi cambi di funzioni senza un minimo di affiancamento e formazione ci sarebbe da discutere a lungo. Forse, quindi, il “sistema Storari” non è poi così malvagio.