«Chi darà retta a questo esposto di Fava, chi seguirà questo esposto, si farà male, molto male». L’autore della “fatwa” è Giuseppe Pignatone, l’ex procuratore di Roma. La frase è stata riportata dal procuratore aggiunto della Capitale Antonello Racanelli, ex segretario generale di Magistratura indipendente, durante la sua audizione il mese scorso davanti alla Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura. In Commissione era stata aperta nei suoi confronti una pratica per “incompatibilità ambientale” a seguito della pubblicazione dei colloqui che aveva avuto con l’ex zar delle nomine Luca Palamara.

Durante l’audizione Racanelli ha toccato, oltre all’esposto del pm Stefano Rocco Fava, molti altri argomenti che forniscono un quadro esaustivo del clima che si respirava nella Procura di Roma fra i pm alla vigilia della nomina del successore di Pignatone. «Tenga presente che non rientravo nel cerchio magico del procuratore Pignatone e con il procuratore Pignatone non c’era circolazione di notizie», esordisce, però, Racanelli. Fava, come abbiamo raccontato in queste settimane, aveva presentato alla fine di marzo del 2019 al Csm un esposto circa mancate astensioni di Pignatone e del procuratore aggiunto Paolo Ielo in alcuni procedimenti penali. In particolare quello aperto nei confronti del celebre avvocato Piero Amara.

A Fava era stato poi tolto il fascicolo. «Il procuratore mi dette l’impressione di essere una persona fortemente seccata per questo esposto, ma fortemente convinta di avere ragione», afferma Racanelli. «Ero andato a casa per pranzo, perché io abito vicino al palazzo di giustizia. Appena tornai la mia segretaria disse: “guardi, l’ha cercata il procuratore”». Racanelli, allora, corse da Pignatone. «Mi tiene ben trenta, quaranta minuti, in cui mi spiega per filo e per segno tutte le vicende dell’esposto di Fava», prosegue Racanelli. «Io sono stato mezz’ora – continua – mi ha spiegato tutto. Lì ho avuto l’impressione ancora una volta che lui era scocciato di questo esposto, però era convinto di essersi comportato correttamente». «Io non sono in grado di dire se avesse ragione lui o avesse ragione Fava», puntualizza il procuratore aggiunto.

Racanelli sottolinea più volte di non aver letto all’epoca l’esposto e di aver saputo del suo contenuto in ambito ufficio: «Escludo Fava, non ricordo se l’ho saputo da Palamara». «A memoria d’uomo un caso unico di revoca di un fascicolo. Non mi risultano altri casi. Quindi un caso che faceva abbastanza scalpore e quindi se ne parlava», prosegue ancora. «Un magistrato che fa un esposto all’organo di autogoverno non si può ritenere a priori denigratorio nei confronti dei soggetti che vengono accusati nell’esposto», puntualizza Racanelli, stigmatizzando la decisione del Csm di bollarlo come “denigratorio”. Ed a proposito della fondatezza del suo contenuto, «non c’è stato ancora un accertamento su questo esposto a distanza di due anni».

I consiglieri chiedono quindi a Racanelli notizie sulla nomina del successore di Pignatone. «I giornalisti erano i più informati e lo avevano da fonte consiliare certa», dice Racanelli. Il canale privilegiato in quel periodo, sembra, fosse il consigliere di Area, la corrente progressista della magistratura, Giuseppe Cascini, procuratore aggiunto a Roma come Racanelli. Cascini, pare, avesse messo in moto un meccanismo informativo di tipo circolare: «Se Cascini diceva qualcosa a Bianconi (Giovanni, giornalista del Corriere della Sera, ndr), Bianconi veniva a piazzale Clodio e ce lo diceva». «Quindi avevamo una serie di informazioni molto chiare su questa vicenda», aggiunge Racanelli. «Il dottor Bianconi, che è molto più informato di me sapeva tutto quello che succedeva in Commissione (incarichi direttivi, ndr)».

Racanelli racconta, poi, che venne “acchiappato” da Cascini la sera del saluto di commiato di Pignatone il 7 maggio 2019. «Cascini mi disse che loro non avevano assolutamente nessuna voglia di votare Viola (Marcello, procuratore generale di Firenze, ndr), volevano a tutti costi votare Lo Voi (Francesco, procuratore di Palermo, ndr)”.
Cascini, aggiunge, «espose il problema di come appoggiare Ardituro (Antonello, pm a Napoli, ndr) per la Procura nazionale antimafia». Palamara, presente al saluto, notò la scena e, appena terminata la conversazione con Cascini, chiese a Racanelli cosa si fossero detti. Palamara, appresa la notizia, aveva poi avvisato delle future mosse di Cascini l’allora consigliere del Csm Luigi Spina, di Unicost.

Racanelli racconta, infine, che si presentò da lui Francesco Lo Voi: «Fu portato da me dalla segretaria del procuratore Pignatone». «Guarda Franco, non devi parlare con me, devi andare a parlare con i consiglieri che stanno al Consiglio», gli disse secco. L’ufficio di Racanelli era un porto di mare in quel periodo. «Una mattina venne da me Palazzi (Mario, pm di Roma, esponente di Area, ndr) in ufficio mi tenne mezz’ora a volermi convincere della bontà della scelta di Lo Voi. Quello che poi accadde è noto. Nella serata di ieri è giunta da Perugia la notizia che le intercettazioni del procedimento a carico di Palamara saranno utilizzabili. Lo ha deciso il gup Piercarlo Frabotta che ha respinto anche la richiesta della difesa di Palamara di disporre una perizia sul server a Napoli di Rcs, la società che aveva fornito gli apparati e i programmi per svolgere le intercettazioni con il trojan.

Le indagini avevano evidenziato che si trattava di un server non “dichiarato”: per legge si sarebbe dovuto trovare a Roma, dove veniva effettuati gli ascolti. Sul punto la Procura di Firenze sta facendo accertamenti, dopo aver indagato i vertici di Rcs. Il gup di Perugia, però, ha deciso senza aspettare le conclusioni da Firenze. Alla perizia si erano opposti i pm di Perugia. L’8 luglio prossimo inizierà la discussione.