La nomina di Paolo Ielo a procuratore aggiunto a Roma? Ha fatto tutto il procuratore Giuseppe Pignatone, Ielo non ha mai in alcun modo condizionato la decisione di Luca Palamara. Sarebbe questa una delle precisazioni alla base dell’accordo sottoscritto fra l’ex zar delle nomine e Ielo affinché quest’ultimo ritirasse la costituzione di parte civile a Perugia. Ielo si era costituito nei giorni scorsi nel processo a carico di Palamara e dell’ex pm romano Stefano Rocco Fava in corso nel capoluogo umbro per rivelazione del segreto d’ufficio. I due magistrati, secondo l’accusa, avrebbero posto in essere una campagna denigratoria per screditare sia Ielo che Pignatone.

In particolare, Palamara avrebbe istigato Fava a presentare un esposto al Consiglio superiore della magistratura dove si evidenziavano delle mancate astensioni del procuratore e dell’aggiunto in alcuni procedimenti penali. Lo scopo sarebbe stato quello di consumare una “vendetta” nei loro confronti: Ielo, poi, doveva essere colpito in quanto l’anno prima aveva trasmesso proprio a Perugia una nota in cui erano indicati i rapporti che Palamara aveva avuto con il faccendiere Fabrizio Centofanti. Da quella nota era scaturito il procedimento penale per corruzione che aveva stoppato la corsa di Palamara a procuratore aggiunto a Roma. Tolta la costituzione nei confronti di Palamara, rimane in piedi quella nei confronti di Fava. Alla scorsa udienza era stata respinta quella presentata da Piero Amara: 500mila euro era stata la cifra richiesta dall’ideatore del Sistema Siracusa per essere risarcito dell’ingente “danno morale che ha causato sofferenza interiore” provocato dal comportamento di Fava e Palamara.

Durante l’udienza di ieri Fava si è sottoposto all’interrogatorio del pm di Perugia Mario Formisano, rilasciando anche delle spontanee dichiarazioni. Fava ha negato di aver dato, come affermato dall’accusa, materiale per due articoli pubblicati il 29 maggio 2019 su Il Fatto Quotidiano e La Verità che rientravano nella “campagna mediatica” di diffamazione contro Ielo e Pignatone. L’ex pm, ora giudice a Latina, ha affermato di «essersi premurato di verificare le circostanze conosciute nell’esercizio delle sue funzioni, per potere presentare una denuncia e sottoporre alla valutazione degli organi competenti fatti veri e documentati, nel convincimento della loro possibile rilevanza penale e della doverosità di un loro approfondimento nelle giuste sedi».

Respinta, quindi, l’accusa di essersi, per redigere l’esposto, «abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento». Un episodio che secondo i pm umbri sarebbe avvenuto «per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita». Fava ha insistito sul fatto di non essere stato istigato da Palamara e di aver voluto solo segnalare agli organi competenti, “nel rispetto della legge”, quanto era accaduto. Ad iniziare dalla revoca del procedimento contro Amara. I cronisti del Fatto Quotidiano e della Verità, ascoltati dai pm umbri, non avevano inteso avvalersi del segreto professionale, negando di aver ricevuto informazioni da Fava sull’esistenza dell’esposto. L’iniziativa per la pubblicazione degli articoli era stata autonoma, senza pressioni da parte di Fava e Palamara.

I giornalisti avevano fatto mettere a verbale che le informazioni poste a base dei loro articoli, quindi i particolari sulle mancate astensioni di Ielo e Pignatone, non erano state fornite dai due magistrati. I giornalisti avevano dichiarato di avere dialogato con più persone (ed anzi magistrati), altri soggetti che erano a conoscenza di questi episodi. La Procura non ha prodotto elementi nuovi per smentire il contenuto di tali dichiarazioni e provare che siano stati Fava e Palamara a fornire il materiale per gli articoli. La deposizione di Fava è durata circa 9 ore. Il gip Angela Avila deciderà il prossimo 23 giugno se rinviare a giudizio o archiviare.