Il Consiglio superiore della magistratura più screditato della storia della Repubblica, come disse una volta Renzi, rimane in carica ancora per un paio di mesi. Lo ha deciso ieri la conferenza dei capigruppo della Camera facendo saltare la seduta comune del Parlamento che il prossimo 13 dicembre doveva eleggere i dieci componenti ‘laici’. Il motivo della decisione sarebbe nella concomitante votazione della Legge di bilancio, da approvare entro la fine dell’anno. Il governo, in altre parole, non vuole ‘distrazioni’ in un momento molto delicato.
Immediata è stata la reazione del deputato di Azione Enrico Costa che ha parlato di “flessibilità costituzionale”.

La Costituzione, infatti, prevede che il Csm possa rimanere in carica per soli quattro anni. Per essere prorogato serve necessariamente una legge costituzionale. Il regime attuale è allora quella della ‘prorogatio’. Un escamotage da legulei che di fatto consente al Csm di rimane in funzione senza una scadenza prefissata. Uno scenario sul quale nessuno avrebbe scommesso un euro all’indomani dello scoppio del Palamaragate quando sembrava imminente il suo scioglimento. A maggio del 2019, quando vennero pubblicate le intercettazioni dell’indagine di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, in particolare quella della cena dell’hotel Champagne di Roma con cinque togati del Csm ed i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri, i componenti laici erano pronti a dimettersi in blocco.

Il capo dello Stato Sergio Mattarella dovette intervenire in prima persona andando a Palazzo dei Marescialli dove si svolse un drammatico Plenum. Alla fine si dimisero solo coloro che avevano partecipato all’incontro. I dimissionari vennero rimpiazzati ricorrendo ai primi dei non eletti o con elezioni suppletive, determinando un ribaltone fra le correnti. Come se non bastasse, l’attuale consiliatura è stata contraddistinta dagli scandali, ad esempio quella dalla gestione dei verbali di Piero Amara sulla Loggia Ungheria e che vede adesso alla sbarra a Brescia Piercamillo Davigo. Per non parlare delle innumerevoli nomine ‘illegittime’ sulle quali si è abbattuta la scure del giudice amministrativo. Il caso più emblematico quello del procuratore di Roma e dei vertici della Cassazione. Saltata la votazione di dicembre se ne riparlerà a fine gennaio.

Il complicatissimo meccanismo voluto dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia prevede che gli aspiranti debbano presentare una dichiarazione d’interesse sul sito della Camera. I rumors danno sempre sette posti alla maggioranza e tre alle opposizioni. Per essere più precisi, 3 a F’dI, 2 ciascuno a Lega e Forza Italia, uno a testa per Pd, Italia vivaAzione e M5s. La legge prevede che ogni eletto debba ricevere i tre quinti dei voti dell’intero Parlamento. Su 600 votanti, il quorum necessario è quindi di 360. Un accordo fra Giorgia Meloni e Carlo Calenda, però, potrebbe cambiare le carte in tavola, dando a quest’ultimo i tre posti destinati alle opposizioni.