Le riforme legislative e le proposte
L’eclissi lunga e dolorosa della magistratura
«It’s not dark yet, but it’s getting there» cantava il premio Nobel per la letteratura Bob Dylan. «Non è buio ancora, ma presto lo sarà» sembrano le parole che, a mezza voce e con malcelata preoccupazione, sussurrano le toghe italiane di fronte allo scenario politico inaugurato dalle elezioni del 25 settembre. È vero, non è la prima volta che il centrodestra (Cdx) si aggiudica una competizione elettorale nazionale. È vero, non è la prima volta che quello schieramento annuncia riforme radicali sul versante della giustizia.
Ma è la prima volta che il Cdx mette in campo una strategia a doppia partizione: per un verso ha annunciato in campagna elettorale modifiche legislative ordinarie di un certo peso, per altro pretende una revisione della Costituzione in varie sue parti, senza mai escludere espressamente le norme sul potere giudiziario. Si badi bene. Esclusa qualche scaramuccia periferica sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, mai la Costituzione repubblicana era finita sotto il mirino delle ambizioni costituenti della politica italiana. A nessuno era venuto in mente di modificare l’assetto dell’organizzazione giudiziaria prendendo le distanze dallo statuto della Carta del 1947.
Certo, nel 1999, si erano introdotte nell’articolo 111 le norme sul “giusto processo”, scopiazzandole dalla Cedu, ma gli effetti benefici sul processo penale e civile di quella riscrittura costituzionale sono stati sempre pressoché nulli, dopo qualche iniziale entusiasmo. Anzi. Si è avuto come l’impressione che principi basilari come la ragionevole durata del processo, la terzietà del giudice, la parità delle parti dovessero, essi, adattarsi alla morfologia ambigua della giustizia italiana, perdendo ogni capacità performante e ogni spinta innovatrice. Se davvero il Cdx intende modellare la forma di governo o addirittura di Stato in senso presidenzialista, è evidente che la magistratura ordinaria non potrebbe non subire un pesante contraccolpo da questa riscrittura della Carta.
L’attribuzione della presidenza del Csm a un presidente eletto dal popolo e non più di estrazione parlamentare, altera in modo decisivo l’autogoverno della magistratura dovendosi immaginare che un presidente del Repubblica di diretta derivazione dal voto popolare sarebbe senz’altro propenso a interventi, come dire, ravvicinati sul funzionamento di palazzo dei Marescialli. Senza considerare che sia il presidente che il vicepresidente potrebbero facilmente appartenere alla medesima coalizione politica e derivare dagli esiti della stessa tornata elettorale; circostanza sinora evitata dalla sfasatura tra il settennato quirinalizio e il quadriennio consiliare. Se l’opzione fosse, poi, quella dell’elezione diretta del premier sul modello del cd. sindaco d’Italia, anche questa volta le conseguenze non sarebbero di scarso momento sul funzionamento dell’organizzazione giudiziaria con un gabinetto a palazzo Chigi fortemente legittimato politicamente e poco propenso a mediazioni con la corporazione delle toghe, sempre diffidenti verso governi autorevoli (basti pensare allo scontro con la ministra Cartabia).
Insomma, questa volta la copertura della Costituzione – che tante volte ha dato modo alla Consulta di neutralizzare gli effetti di riforme legislative ordinarie malviste dalle toghe (si pensi alla legge caducata sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione o alla norma cassata sull’obbligo di archiviazione in caso di annullamento di un mandato di cattura) – potrebbe vacillare. Nello schieramento del 25 settembre, soprattutto nei suoi settori più sensibili alle geometrie costituzionali e istituzionali, potrebbe trovar spazio l’idea di un complessivo rimodellamento dell’assetto della giurisdizione irrompendo nella cittadella disegnata nel 1947 attraverso l’escamotage di dare sostanza e forma definitiva a una battaglia tutto sommato ben vista dalla pubblica opinione come quella della separazione delle carriere tra giudici e pm.
Di lì il passaggio verso il doppio Csm sarebbe agevole, come pure ghiotta potrebbe essere l’occasione per sistemare il principio di obbligatorietà dell’azione penale o la disponibilità diretta della polizia giudiziaria da parte dei pm o i poteri del Csm o la creazione dell’Alta Corte disciplinare. Tutte proposte che riscuotono consensi ben oltre gli steccati dell’attuale Cdx e che hanno visto spendersi figure autorevole della politica italiana (primo tra tutti, Luciano Violante). Certo non è ancora buio, ma tra un poco il sole della magistratura italiana rischia un’eclissi lunga e dolorosa cui, francamente, non si è del tutto pronti a reagire con proposte autorevoli.
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