Approvata ieri dal Senato la riforma dell’Ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, è subito scattato fra le toghe che aspirano ad essere elette a Palazzo dei Marescialli il ‘toto-collegio’. La riforma ‘ex Bonafede’, fatta propria con blandi correttivi dalla Guardasigilli Marta Cartabia, nasconde fra le pieghe una norma che pare essere stata fatta apposta per dare ancora più peso alle correnti della magistratura al Csm. Stiamo parlando del potere attribuito al Ministero della giustizia di comporre i ‘collegi’ dove dovranno essere appunto eletti i futuri venti componenti togati.

Il meccanismo elettorale precedente, quello alla ‘Palamara’ per intenderci, prevedeva un collegio unico nazionale per ognuna delle tre categorie: giudici di merito, giudici di Cassazione, pm. Le nuove regole prevedono che ci siano più collegi binominali per i giudici ed i pm, con recupero proporzionale per entrambe le categorie, lasciando il collegio unico nazionale solo per i due posti destinati ai componenti della Cassazione. I collegi saranno formati in modo tale da essere composti, tendenzialmente, dal medesimo numero di elettori, e saranno determinati con decreto del ministro della Giustizia, sentito il Csm. Il decreto dovrà essere emanato almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni. La legge ha previsto come unico paletto quello di garantire che tutti i magistrati del singolo distretto di Corte d’appello siano inclusi nel medesimo collegio e che vi sia continuità territoriale tra i distretti inclusi nei singoli collegi.

La disposizione è però facilmente aggirabile in quanto la legge ha anche previsto che per garantire la composizione numericamente equivalente del corpo elettorale dei diversi collegi sarà possibile sottrarre dai singoli distretti uno o più uffici per aggregarli al collegio territorialmente più vicino. La determinazione dei collegi, cancellata all’ultimo l’ipotesi del sorteggio come aveva chiesto la Lega, avverrà dunque con un decreto del ministro della Giustizia. I rumors di queste ore sono tutti concentrati su quali saranno i criteri effettivi per dar vita a questo mix di distretti grandi e piccoli. Distretti grandi sono, ad esempio, quelli di Milano, Roma o Napoli, distretti piccoli quelli di Potenza o Campobasso. I maligni ipotizzano che i collegi verranno realizzati con il manuale Cencelli alla mano e quindi sia con il riferimento alla composizione numerica del corpo elettorale, e sia tenendo conto dei risultati ottenuti dalle singole correnti nelle precedenti elezioni.

Essendo escluso che possa essere la ministra a scrivere i collegi, il compito sarà affidato agli uffici di via Arenula, tutti saldamente in mano ai magistrati, molti dei quali non fanno mistero di essere appartenenti ad una delle correnti della magistratura associata. Decideranno con il bilancino in mano o con l’idea di fare qualche sgambetto ai colleghi della corrente avversaria? Ad esempio, il distretto di Napoli, dove alle ultime elezione le toghe di destra di Magistratura indipendente hanno avuto la meglio, sembra che potrebbe essere accorpato a quello di Cagliari, dove le toghe di sinistra sono la maggioranza, compensando così lo svantaggio. Un modo per rendere difficile una vittoria che sulla carta pareva essere scontata. È di tutta evidenza che una legge che avrebbe dovuto tagliare le unghie alle correnti consegna ai suoi esponenti il compito di decidere chi entrerà o meno a Palazzo dei Marescialli. Non si escludono pertanto profili di incostituzionalità. Quando non ci sarà più Marta Cartabia a via Arenula, poi, il futuro ministro come si regolerà? Cambierà i collegi appena fatti per le pressioni da parte delle toghe rimaste insoddisfatte del risultato ottenuto? Un ruolo di primo piano in questa partita lo avrà il capo dello Stato che del Csm è il presidente. Ma anche presso il Quirinale i magistrati non mancano. E si torna sempre al punto di partenza: liberarsi delle correnti è impossibile.