Ci sarà da aspettare. Ancora un po’. Anche l’incontro di ieri fra la ministra della Giustizia Marta Cartabia e gli esponenti della maggioranza che sostiene il governo sulla riforma del Csm e della magistratura si è concluso, infatti, con un sostanziale nulla di fatto. La Guardasigilli si è riservata di presentare gli ormai attesissimi emendamenti al disegno di legge di riforma, incardinato dal lontano 2019 in Commissione giustizia alla Camera.

Chi ha partecipato all’incontro racconta di un clima “di grande affabilità e cortesia reciproca”. Per Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia a Montecitorio, è stata «una riunione di lavoro interlocutoria: la ministra ha preso molti appunti e ha detto di voler approfondire le nostre proposte».
Da parte sua la ministra ha fatto sapere che terminata questa “fase di ascolto”, presumibilmente la prossima settimana, convocherà una nuova riunione collegiale di maggioranza dove illustrerà le sue proposte che dovrebbero andare in Consiglio di ministri entro Natale. Non essendoci, dunque, un testo ma solo tante indiscrezioni, l’unico dato certo è che ministra non ha intenzione di farsi dei nemici in questa fase politica molto particolare, con l’elezione del nuovo capo dello Stato alle porte. Carica alla quale, forse, aspira. L’obiettivo – non dichiarato apertamente – è quello di cercare un compromesso che riesca a soddisfare le diverse anime della variegata compagine che appoggia l’esecutivo Draghi e, al contempo, senza causare una rottura con le toghe. Rottura che, come è noto, non porta mai bene. Vedasi Matteo Renzi, prima di lui Clemente Mastella, e prima ancora Silvio Berlusconi.

Se queste sono le premesse, allora, è certo che il testo Cartabia non risolverà alcunché, lasciando di fatto immutato l’attuale assetto togato by Luca Palamara. Archiviato definitivamente il sorteggio, la soluzione ipotizzata per l’elezione dei componenti togati del Csm darà ancora più potere alle correnti più forti, stroncando definitamente ogni possibilità di dissenso. Gli ormai ex davighiani Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita hanno già messo le mani avanti al riguardo. «La nuova legge elettorale farà sparire ogni possibile opposizione allo strapotere delle correnti che sottometteranno definitivamente i magistrati liberi che sono la maggioranza», hanno affermato i due ex pm antimafia, ora consiglieri togati al Csm, in una nota congiunta ieri. «Sarebbe il trionfo del correntismo», proseguono, ipotizzando un futuro dove sulle nomine e incarichi sarà sacrificato il “merito” e premiato “chi milita nei gruppi che hanno più numeri al Csm”. Uno scenario non esaltante che farà quindi rimpiangere il “Sistema” di Palamara che, almeno, manuale Cencelli alla mano, riusciva ad accontentare un po’ tutti.

Palamara, dipinto in questi mesi come una sorta di diavolo in toga, aveva messo a punto un nominificio a prova di bomba, apprezzato anche da esponenti degli altri gruppi associativi. Una chat sul punto è significativa. Ed è quella del novembre del 2017 con la magistrata Donatella Ferranti, esponente della sinistra giudiziaria e all’epoca parlamentare del Pd nominata presidente della commissione Giustizia della Camera. «Luca ho saputo tuo ruolo di garanzia … ti fa onore e ci conforta». La chat prosegue poi con una premuta sul futuro procuratore generale della Cassazione. Uno dei temi più controversi è anche il rapporto fra toghe e politica. «I magistrati eletti in politica non devono più rientrare a fare né il pm né il giudice», prosegue Zanettin. Potrebbero essere destinati, continua il parlamentare azzurro, «al Ministero oppure fuori ruolo presso un’Authority o, come ultima spiaggia, passare all’Avvocatura dello Stato». La ministra, però, ha già fatto capire che non ritiene percorribile una strada simile. Al massimo dei “disincentivi”. Peccato, dunque, perché fin dall’inizio del suo mandato la ministra aveva dichiarato urbi ed orbi che l’azione del Csm non doveva più essere condizionata dalle correnti.