Le riforme del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario restano sempre in alto mare. E questo nonostante i continui appelli del Capo dello Stato. L’incontro di ieri pomeriggio fra la Guardasigilli Marta Cartabia e i capigruppo dei partiti in Commissione giustizia che sostengono il governo Draghi si è concluso, infatti, con un sostanziale nulla di fatto. Si è trattato di un incontro “interlocutorio” hanno precisato al termine alcuni dei partecipanti, lasciando però trasparire un po’ di delusione. L’appuntamento con la ministra era stato inizialmente programmato per la scorsa settimana in modalità da remoto. Causa impegni di diversi parlamentari impossibilitati a partecipare, la ministra aveva deciso di annullarlo, rinviando così la discussione in presenza a via Arenula.

I parlamentari intervenuti ieri erano tutti in attesa di conoscere gli intendimenti della ministra, visto che i tanto attesi emendamenti del governo al testo di riforma, incardinato dal 2019 in Commissione giustizia a Montecitorio, relatori Walter Verini (Pd) ed Eugenio Saitta (M5s), non sono stati ancora presentati. La ministra, in pole per succedere a Sergio Mattarella, si è limitata ad una illustrazione di massima, senza approfondire i punti più dibattuti, come il rapporto toghe-politica e il nuovo sistema di elezione dei componenti togati del Csm in ottica “anti correnti”. Fra i primi provvedimenti della Guardasigilli vi era stata l’istituzione di una Commissione, presieduta dal decano dei costituzionalisti, il professore romano Massimo Luciani, per elaborare un progetto complessivo di riforma del Csm. La commissione aveva consegnato la sua relazione il 31 maggio scorso, concentrandosi in particolare sulle modifiche al sistema elettorale. Il nuovo sistema di voto di tipo proporzionale prevederebbe, a pena di nullità, la candidatura di singoli magistrati e non più di liste. È caratterizzato dal voto singolo “trasferibile” perché crea più collegi plurinominali in cui gli elettori devono indicare almeno tre candidati in ordine di preferenza. Un meccanismo che, a detta di molti, darebbe ancora più potere alle correnti.

La ministra, però, ha sorvolato sul punto, buttando in campo l’ipotesi del rinnovo parziale del Csm, come accade per la Corte Costituzionale, che lei conosce bene avendola presieduta. Una proposta che è stata respinta con sdegno da Pierantonio Zanettin (FI) secondo cui allungare la vita all’attuale Csm, totalmente screditato dopo quello che è successo con dimissioni a raffica dei suoi componenti, non sta né in cielo e né in terra. Zanettin con il collega della Lega Roberto Turri si sono detti favorevoli al sorteggio temperato. Ogni discussione sulla riforma rischia di non fare i conti con i tempi. «A novembre spero possa essere discussa e votata dall’aula», aveva detto il vice presidente del Csm David Ermini. Trattandosi di una legge delega, dopo la sua approvazione dai due rami del Parlamento, serviranno i decreti attuativi e il Csm dovrà predisporre un nuovo regolamento interno, soprattutto in caso di aumento dei suoi componenti. I giorni di effettivo lavoro del Parlamento sono poco più di dieci.

Il 26 novembre inizierà alla Camera la discussione sulla sessione di bilancio. Da allora in poi non potranno essere votate leggi che prevedono, come nel caso della riforma del Csm, nuovi impegni di spesa. Sulla carta le elezioni per il rinnovo della componente togata di Palazzo dei Marescialli sarebbero previste per il prossimo mese di luglio. I vari gruppi associativi sono già nel pieno della campagna elettorale e stanno presentando i possibili candidati. Presentazioni a scatola chiusa, ma con la certezza che qualsiasi sistema non prevederà il sorteggio. La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, la terza gamba del tavolo delle riforme in materia di giustizia, prevederebbe anche tante altre cose. Dalle valutazioni di professionalità dei magistrati, ai criteri per ottenere un incarico direttivo, al rapporto con l’avvocatura, al ruolo della Scuola superiore della magistratura. Di tutto ciò ancora non c’è traccia. Eppure era stato l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (M5s) ad annunciare, all’indomani dello scoppio del Palamaragate, che la riforma era pronta e sarebbe stata approvata in pochi giorni. Da allora sono passati due anni e mezzo e non è successo nulla. Alla faccia degli appelli del Capo dello Stato.