Voi sapete chi è Nino Di Matteo. Uno dei magistrati più importanti di Italia, piuttosto amato dai giornali e dalle Tv, temuto, membro autorevolissimo del Consiglio superiore della magistratura, ex davighiano. Questo giornale molto spesso lo ha attaccato frontalmente, specialmente per le vicende palermitane. Qualche volta invece lo ha sostenuto, perché ogni tanto è lui il solo che dice al re: “maestà, sei nudo”. Lo ha fatto per esempio quando in magistratura e in politica si faceva a gara a nascondere il famoso dossier Storari, quello che rivelava l’esistenza della Loggia Ungheria. Fu lui a denunciare l’insabbiamento. L’altra sera Di Matteo si è fatto intervistare da Andrea Purgatori su La7.

Trascrivo qui alcune frasi che ha pronunciato e che mi hanno fatto saltare sulla sedia: «Io temo che, soprattutto negli ultimi anni, si siano formate anche al di fuori o trasversalmente alle correnti, delle cordate attorno a un procuratore o a un magistrato particolarmente autorevole, composte da ufficiali di polizia giudiziaria e da esponenti estranei alla magistratura che pretendono, come fanno le correnti, di condizionare l’attività del Consiglio superiore della magistratura e dell’intera magistratura… Con l’appartenenza alle cordate vieni tutelato nei momenti di difficoltà, la tua attività viene promossa, vieni sostenuto anche nelle tue ambizioni di carriera e l’avversario diventa un corpo estraneo da marginalizzare, da contenere, se possibile da danneggiare… La logica dell’appartenenza è molto simile alle logiche mafiose, è il metodo mafioso che ha inquinato i poteri, non solo la magistratura».

Vi rendete conto? A me ogni tanto mi accusano di essere uno che attacca la magistratura in modo generico e insolente. Ma io non ho mai osato dire o scrivere cose così drammaticamente pesanti. In confronto a Di Matteo sono un timido chierichetto. Di Matteo dice che la magistratura è governata da bande, organizzate in cordate secondo il metodo mafioso. Francamente è andato molto oltre le accuse sanguinose lanciate da Palamara nel libro famoso scritto con Alessandro Sallusti (Il Sistema). Di Matteo sostiene che esistono delle cordate, o forse Logge (anche se lui non usa questo termine) composte, se capisco bene, da magistrati, alti ufficiali di polizia, alti militari, politici, forse giornalisti, gente di potere, tutti radunati attorno a un magistrato molto potente, e che queste cordate fanno poi il bello e il cattivo tempo ai vertici della magistratura, ne decidono gli assetti, le linee guida, immagino anche la collocazione politica. Di Matteo non fa nomi, però il ritratto di quel Procuratore amico della polizia giudiziaria e di altri, diciamo la verità, è un ritratto abbastanza preciso, e chiunque abbia un po’ seguìto i fatti recenti della magistratura può facilmente identificarlo. Sì, capisco, vorreste che scriva qui il suo nome. Ma voi sapete a quante querele da parte di alti magistrati io sono arrivato da quando dirigo il Riformista? Credo 22, più le cause civili. Meglio non fare i nomi, se non lo fa Di Matteo. Però ragioniamo un po’ sulle cose che lui ha detto. E proviamo a trarre le conseguenze che Di Matteo, per ora, non ha voluto trarre. Anche ponendo delle domande a Di Matteo.

La prima domanda è questa: ma le vittime di questo sistema completamente illegale, e che contraddice clamorosamente il principio dell’indipendenza della magistratura, sono solo i magistrati che -restando al di fuori di correnti e cordate e metodi mafiosi- non riescono a fare carriera, oppure sono anche gli imputati? Ogni volta che si parla di Giustizia e di magistratura si pensa ai magistrati e agli equilibri al loro vertice. Ma i magistrati non è che quando lavorano vendono il pesce. Fanno una cosa diversa: decidono chi indagare e poi chi rinviare a giudizio, e poi chi condannare e chi assolvere. I veri protagonisti, i “fruitori” della giustizia, sono gli imputati.  Dopo aver letto le parole di Di Matteo, che fiducia possono avere, gli imputati, sulla equanimità della magistratura? A me questo sembra il punto decisivo. Però, ogni volta che lo tocco, discutendo anche con magistrati dissidenti e fuori dai circoli del potere, sento di aver toccato dei fili elettrici che è proibito toccare. Io vi devo dire la verità: in fondo non mi importa molto se il procuratore di Potenza sarà il dottor X o il dottor Y, né voglio sapere chi e perché diventerà aggiunto a Bologna, e nemmeno chi andrà alla procura nazionale antimafia. Mi interessa sapere, invece, se il signor Rossi subirà un giusto processo. E mi chiedo che cosa possa succedere al signor Rossi se il Pm, il Gip e poi il Presidente della Corte che lo giudicherà appartengono alla stessa corrente, o addirittura alla stessa cordata, cucita con metodi mafiosi. Non vi pare una domanda legittima? Non sarebbe giusto se i magistrati che oggi iniziano a denunciare le storture del nostro sistema, e la forza di sopraffazione ai vertici, si ponessero anche questo problema, senza per questo dover essere accusati di eccesso di garantismo?

La seconda domanda che vorrei porre a Di Matteo riguarda le riforme. Ho letto che lui è molto arrabbiato con la ministra Cartabia per i piccoli aggiustamenti che sta realizzando, per esempio, sulla prescrizione o sulla presunzione d’innocenza (ma quella sulla presunzione di innocenza è una direttiva europea che non può essere aggirata). Ok, ognuno ha le sue idee. Ma dopo la sua denuncia, e dopo la denuncia di Palamara, e dopo la denuncia di Storari, è giusto o no porsi il problema dell’autogoverno della magistratura? Di Matteo ci fa capire che l’autogoverno della magistratura non esiste: la magistratura – dice – è governata da Forze oscure. Benissimo, ma allora è giusto o no stabilire dei sistemi di controllo democratico, che impediscano a logge e cordate di impadronirsi in modo illegittimo e sovversivo del terzo potere dello Stato (forse ormai il primo…) e restituiscano al sistema democratico, e dunque non alla corporazione, il potere di controllo e in questo modo assegnino davvero al singolo magistrato la sua indipendenza, che oggi spesso non ha, perché espropriata da correnti e cordate? In sostanza, a me pare che non abbia senso immaginare un nuovo Consiglio superiore della magistratura di nuovo a grande maggioranza di togati. Occorre modificare la Costituzione.

La terza domanda riguarda i processi politici. Ce ne sono stati centinaia e centinaia, in questi anni. Hanno coinvolto anche i leader dei partiti, distruggendone qualcuno. Se la magistratura è davvero dominata dalla cordate, è legittimo immaginare (come ha immaginato Palamara) che molti processi politici siano studiati a tavolino per ragioni che c’entrano poco o niente con la giustizia?

 

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.