Luca Palamara, dunque, era il male assoluto della magistratura italiana, una sorta Belzebù in toga. I cinque consiglieri del Csm che gli fecero compagnia all’hotel Champagne la sera del 9 maggio del 2019, invece, erano solo dei piccoli demoni. A cui, però, bisognava mandare necessariamente un segnale per evitare che un domani qualcuno di loro potesse prendere il posto del principe delle tenebre.

«Provo delusione e turbamento per una sentenza manifestamente esemplare, priva di sufficiente capacità di discernimento, che parla esclusivamente la lingua dell’accusa, tacendo su quella della difesa», è stato il commento del professore Mario Serio, avvocato di Paolo Criscuoli, condannato a nove mesi di sospensione dalle funzioni.
Serio ha anche fatto notare la perfetta proporzione fra le richieste della Procura generale e le pene comminate dalla disciplinare: 25 per cento in meno per tutti. «Il mio rammarico è che questa sentenza ha stravolto irrimediabilmente la vita di una persona e della sua famiglia», ha poi aggiunto Serio.

Cacciato Palamara e bastonati i cinque commensali, per la magistratura italiana dovrebbe essere iniziato un nuovo corso. Ovviamente non è così. A non crederci sono gli stessi magistrati. «Ma hanno fatto tutto da soli? Oppure agirono in rappresentanza di altrettanti gruppi di interesse?», si domanda un giudice sulla mailing list. «La facile risposta – prosegue – si trova nei 140 capitoli testimoniali formulati dalla difesa di Palamara, dove, illustrando un vero pezzo di storia della magistratura italiana, si parlava di un centinaio di nomine frutto di altrettanti accordi ‘extra moenia’, preconfezionati e poi semplicemente ratificati dal Csm». «Accordi non dissimili da quello dell’Hotel Champagne. Insomma e in breve, il “Sistema” che non ha ammesso quelle istanze di prova e che, per assolvere gattopardescamente se stesso, punisce i soli cinque», continua il magistrato, auspicando che tutti consiglieri del Csm, togati e laici, mostrino il contenuto dei «telefonini utilizzati negli ultimi cinque anni».

A conferma che gli accordi spartitori ci sono sempre stati, e che l’incontro dell’hotel Champagne, dove si discusse del futuro procuratore di Roma, non è stata una eccezione, ecco arrivare un nuovo annullamento da parte del Consiglio di Stato di una nomina. Questa volta si è trattato del presidente della sezione penale del Tribunale di Rimini, incarico andato a Sonia Pasini nel plenum del 6 giugno 2018. I giudici amministrativi hanno accolto nei giorni scorsi il ricorso presentato da Fiorella Casadei. La nomina di Pasini è una delle nomine di cui parlarono Palamara e l’ex togato Gianluigi Morlini, presidente della Commissione per gli incarichi direttivi. Morlini, uno dei partecipanti all’incontro all’hotel Champagne, aveva scritto a Palamara di Pasini dicendo che era uno dei nomi da tenere “sotto controllo”. I due si erano poi complimentati a vicenda per le nomine di Lucia Russo, Silvia Corinaldesi, Marco Mescolini e appunto Pasini, magistrati legati alla corrente di Unicost, a capo di uffici dell’Emilia-Romagna. Un successo senza precedenti per la corrente di centro che aveva occupato un numero di posti senza precedenti. Pasini, poi, chattando con Palamara gli aveva chiesto di integrare la relazione al Plenum, indicando anche un ulteriore requisito che fino a quel momento non era stato adeguatamente valorizzato.

Dopo il ricorso, il giudizio comparativo tra le due candidate era stato svolto dalla dal Csm l’8 febbraio scorso, proponendo la nomina di Casadei. Il Tar aveva sottolineato come la valutazione comparativa avesse “appiattito” il profilo di Casadei, «per ricordarne solo quelle esperienze» sulle quali poteva essere fatto un «giudizio comparativo diretto» con Pasini, «in tal modo incorrendo in evidente travisamento e difetto di istruttoria, e comunque nel difetto di motivazione». Era poi “pacifico”, per il Tar, che Casadei «abbia circa 10 anni di attività in più» nel settore penale rispetto alla collega. Salvo i casi finiti sotto la lente del tar, tutti i magistrati nominati con il sistema “Palamara” sono ancora al proprio posto. E ci rimarranno. Mandarli via significherebbe terremotare la metà degli uffici giudiziari del Paese. È meglio, allora, che paghi solo Palamara e i suoi cinque compagni di sventura dell’hotel Champagne.