Elezioni e scontri interni alle correnti
Elezioni Csm, ecco i magistrati “finti” indipendenti a caccia di voti dopo il Palamaragate
Alle prossime elezioni per la componente togata del Consiglio superiore della magistratura (20 membri) ci sarebbero anche dei “finti” indipendenti. A scoprirli è stato il giudice del tribunale di Lecce Paolo Moroni, candidato a Palazzo dei Marescialli dopo essere sorteggiato da “Altra proposta”, un comitato nato nel 2013 proprio con lo scopo di selezionare i candidati al Csm con tale meccanismo. I “finti” indipendenti sarebbero circa una decina, equamente distribuiti fra pm, giudici e membri della Cassazione. “Molti di loro – ricorda Moroni – sono il risultato di scontri interni alle correnti, scontri originati o dal dissenso verso il pensiero unico imposto dalla dirigenza dei gruppi, o dall’esigenza personale di conquistare posti di potere che le maggioranze che si formano all’interno delle correnti non concedono alle minoranze”.
L’asserita “indipendenza” sarebbe, dunque, uno stratagemma per conquistare il voto dei colleghi disgustati dal Palamaragate. “È evidente che in una situazione di malcontento, segnato dal voto favorevole al referendum indetto dall’Anm sul sorteggio di circa 1800 colleghi su 5000 votanti, molti sperano di generare confusione nell’elettorato lontano dalle logiche spartitorie delle correnti e acquisire voti dal bacino elettorale dei colleghi che da sempre sono dediti al loro lavoro”, prosegue Moroni. Lo scopo dei “finti” indipendenti è chiaro: “Togliere voti a coloro che da sempre, come il Comitato Altra Proposta, che realizzò un primo sorteggio nel 2014, o come i sostenitori della lista Articolo 101, che si ispira al principio della netta separazione fra Anm e Csm, hanno svolto un ruolo di critica interna finalizzata ad una palingenesi etica della magistratura”.
“La vera indipendenza si vede nella dissociazione dalla storia della corrente di appartenenza, dalle vicende che le hanno segnate, dove il caso Palamara è solo la punta dell’iceberg, quella più visibile, preceduta da vicende ancor più gravi che hanno minato l’indipendenza dei singoli magistrati”, continua Moroni. Dissociazione che, pare, non esserci stata. “Dalle poche presentazioni dei candidati che circolano – aggiunge ancora Moroni – non si legge una sola parola di critica in merito alle assoluzioni di tutti i colleghi che hanno partecipato al mercimonio delle cariche o alla distruzione delle carriere altrui, né critiche concrete all’operato della corrente in cui i presunti indipendenti hanno operato fino a qualche giorno prima”. Dello stesso avviso anche il giudice del tribunale di Verona Andrea Mirenda, candidato al Csm ed anch’egli sorteggiato ma a seguito delle norme introdotte dalla riforma Cartabia che prevedono tale procedura per completare le liste elettorali: “Distinguerei tra credibilità e potere condizionante della correntocrazia: la prima è compromessa, con la conseguente proliferazione di autodesignati la cui indipendenza, tuttavia, non di rado si scontra con la solida militanza correntizia e con il silenzio ossequioso sui dossier più scottanti che ci hanno travolto; il secondo rimane, purtroppo, ancora forte, con intuibili ricadute elettorali”.
Ma come risollevare la magistratura dalla crisi in cui è precipitata? “Sebbene non sia la panacea di tutti i mali, il sorteggio come metodo di selezione dei candidati avrebbe costituito un primo passo verso la liberazione del Csm dalle logiche spartitorie che rappresentano una grave e seria violazione dei principi costituzionali. E questo perché l’attività, pure di alta amministrazione, del Csm deve comunque ispirarsi al soddisfacimento dell’interesse pubblico e non degli interessi lobbistici”, ricorda Moroni. “Io credo che – legibus sic stantibus – solo il reinserimento delle fasce di anzianità, l’adozione di criteri oggettivi e predeterminati a cui attribuire un certo peso numerico unita alla valorizzazione dell’esperienza giudiziaria possa limitare la possibilità del Consiglio di deformare i profili professionali a vantaggio di logiche di potere e di appartenenza”, conclude il giudice leccese.
Per Mirenda, invece, “occorre chiudere definitivamente il capitolo dell’attitudine direttiva. Si tratta di un vero “non senso” se osservato sotto la lente della scienza aziendalistica. Chi dirige che cosa in un ordine giudiziario dove i magistrati sono reciprocamente indipendenti, con pari dignità e soggetti solo alla legge?”. “E in ogni caso – aggiunge Mirenda – questi dirigenti come possono dare corpo alle loro virtù, privi come sono di vera autonomia finanziaria come pure di leva di spesa e di spoil system? Senza contare, poi, che il dirigente giudiziario opera in uffici dove il 90 percento delle attività viene (fortunatamente) svolto “motu proprio” da funzionari amministrativi, secondo direttive centralizzate”. La soluzione, conforme allo status costituzionale del magistrato, è allora quella “della rotazione nel coordinamento dell’Ufficio, ogni due o tre anni, legata al possesso di un minimo di anzianità: solo così si realizza un vero autogoverno inclusivo e orizzontale”.
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