«Dall’estate 2019 a oggi l’Anm non ha avviato un radicale percorso di approfondimento e ripensamento di certe dinamiche. Perciò ho avvertito la necessità di prenderne le distanze»: parola di Eduardo Savarese, giudice del Tribunale di Napoli che ha ufficializzato il suo addio all’associazione.

Nel 2019 cinque magistrati sono stati costretti alle dimissioni dopo le polemiche legate all’incontro durante il quale Lotti, Ferri e Palamara avrebbero discusso delle nomine per le Procure di Roma. Oggi Palamara è di nuovo nell’occhio del ciclone. Che quadro emerge da queste due vicende?
«Un quadro avvilente. Gli intrecci con poteri propriamente politici sembrano ramificati ed estesi. Il rispetto del merito è annichilito. La trivialità culturale e morale delle logiche e dei linguaggi intristisce. Il terremoto è cominciato a maggio e giugno 2019 e, a un anno esatto, è ancora in atto. L’Anm ha messo in sicurezza la magistratura che rappresenta reagendo severamente alla prima scossa, ma non avviando un processo chirurgico di verifica dei fatti. Ed è così arrivata alla seconda scossa, dinanzi alla quale l’Anm è rimasta inerte. L’unica conseguenza possibile? Parlo per me: recedere».

Come si spiega il diverso approccio tenuto dall’Anm?
«La disparità di trattamento tra il “sisma 2019” e il “sisma 2020” è per me inspiegabile: anche se si vuole sostenere che i gradi dei due terremoti sono stati differenti, da maggio 2020 a oggi una reazione “di sistema” poteva e doveva iniziare».

Che cosa avrebbe dovuto fare l’Anm?
«Mi aspettavo uno sguardo di prospettiva e di insieme sugli accadimenti emersi allora. L’associazione si è invece limitata invece a circoscrivere un evento che però aveva radici profonde. Siamo magistrati, sappiamo analizzare e valutare i fatti: sarebbe stato importante costituire subito una sorta di commissione interna all’Anm, composta da membri sorteggiati tra tutti i magistrati disponibili: una commissione di inchiesta e anche di “conciliazione” per capire e sanzionare, ma pure per cercare un punto di incontro e cicatrizzare le ferite».

I cinque membri del Csm sono stati processati “in piazza”: nella magistratura c’è una tendenza alla giustizia sommaria?
«La tendenza alla giustizia sommaria è figlia delle passioni umane, da un lato, e del Fato, dall’altro: arriva il momento storico in cui la misura è colma e ci si illude che bisogna liberarsi velocemente del colpevole. I processi di liberazione dai colpevoli richiedono tempo e fatica. Il teologo Bonhoeffer dice che non esiste la grazia a buon mercato. Ecco: non esiste neppure la giustizia a buon mercato».

Il garantismo è finito in soffitta?
«No. Il garantismo non è un valore desueto, almeno nella stragrande maggioranza dei veri giuristi. Ci stiamo tutti domandando molte cose. Spero soltanto che si mantenga viva l’urgenza di fornire o esigere risposte».

L’uso del trojan che si fa nelle indagini ordinarie, oltre che nella vicenda Palamara, la preoccupa?
«Affiorano molte domande sull’uso del trojan. Le risposte arriveranno, spero. E solo allora sarò meno preoccupato».

C’è il rischio che anche Palamara diventi un capro espiatorio e che la magistratura perda l’occasione di rinnovarsi anche stavolta?
«La mancanza di un esame sistemico, fatto da noi magistrati, rischia di introdurre la logica del capro espiatorio e della vittima con due effetti negativi: nulla cambia; chi ha pagato, anche quando abbia pagato giustamente, lamenta di essere stato immolato».

Come valuta l’atteggiamento dei “giornaloni” italiani, rimasti in silenzio davanti a certi fatti? C’è una connessione tra certa magistratura e certi giornali?
«Non sono a conoscenza di connessioni. Nella lettera di recesso mi limito a registrare che il “sisma 2019” si avvantaggia di giornali solerti nel comunicare tutto, mentre col “sisma 2” quegli stessi giornali sembrano affaticati nel seguire la quotidiana cronistoria delle chat».

La credibilità della magistratura è ai minimi storici: come si può salvare?
«Al giudice indipendente e imparziale il diritto è iscritto nel cuore prima ancora che nel cuore della civiltà giuridica occidentale. È più di un diritto umano, è un fondamento. Non tengo il conto dei colleghi che rispettano questo fondamento. È il momento di dedicare tempo e fatica, oltre che ai processi, alla nostra identità e alla giusta, ragionevole, misurata, colta, preparata rappresentanza di questa identità. Vanno bene le proposte di riforma del sistema che stanno circolando, ma serve un percorso culturale capace di portare alla luce quanto siano povere le micro-ambizioni di potere e quanto sia importante il principio secondo il quale i magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.