Fuori i magistrati di sinistra da via Arenula. Dopo non aver confermato l’incarico di capo di gabinetto a Raffaele Piccirillo, storica toga di Magistratura democratica, il neo ministro della Giustizia Carlo Nordio ha fatto un’altra vittima illustre nelle fila delle toghe progressiste, sostituendo la giudice Franca Mangano, numero uno dell’ufficio legislativo. Al posto di Piccirillo e Mangano, Nordio ha scelto Alberto Rizzo, presidente del Tribunale di Vicenza, e Antonello Mura, procuratore generale di Roma, due magistrati di Magistratura indipendente, la corrente di destra.

Tutto secondo le norme, va detto, in quanto trattandosi di incarichi di diretta collaborazione del ministro, quest’ultimo ha la facoltà di nominare figure che godano della sua massima fiducia. La norma sullo spoil system dava a Nordio 90 giorni di tempo dal momento del suo insediamento per decidere. Il neo Guardasigilli, però, non ha voluto perdere tempo, procedendo con nomine in netta discontinuità con la gestione di Marta Cartabia. Discontinuità quanto mai evidente con la scelta proprio di Mura a capo dell’ufficio che dovrà gestire l’attuazione della riforma della giustizia realizzata dalla ex ministra. Mura a detta di tutti è un magistrato molto preparato. In passato è stato anche componente del Csm. Nei mesi scorsi era in lizza per diventare procuratore generale della Cassazione. Il suo gruppo, però, gli preferì Luigi Riello, procuratore generale di Napoli ed esponente di Unicost, una decisione che suscitò molti mal di pancia tra gli iscritti ad Mi.

Nella sua lunga attività professionale, Mura ha anche rappresentato l’accusa in Cassazione in uno dei processi più importanti degli ultimi decenni, quello a Silvio Berlusconi per i diritti Mediaset che determinò poi la cacciata del Cav dal Parlamento per effetto della legge Severino. “È un processo carico di aspettative e che suscita passioni ed emozioni esterne che sono manifestazione del libero dibattito e della vita democratica, ma aspettative e passioni devono rimanere confinate fuori dell’Aula giudiziaria”, esordì Mura in una rovente mattina del 30 luglio del 2014. L’allora pg della Cassazione sposò appieno le tesi dei colleghi milanesi secondo cui il meccanismo messo in piedi da Berlusconi aveva l’obiettivo di gonfiare i costi per i benefici fiscali e produrre pagamenti per la costituzione all’estero di ingenti capitali. Una frode fiscale che non poteva essere derubricata a false fatturazioni, come sostenuto invece dai legali del Cav.

Quel giorno Mura parlò per circa cinque ore, smontando tutte le tesi della difesa, a partire delle eccezioni di tipo procedurale sulle modalità di svolgimento del processo in primo e secondo grado. In particolare, per Mura, non vi era stata alcuna violazione del legittimo impedimento con cui l’allora premier aveva chiesto di rinviare le udienze per impegni elettorali e per le varie patologie che lo affliggevano, ad iniziare dalla uveite, l’infezione agli occhi che lo costrinse anche al ricovero all’ospedale San Raffaele. Tutte le tesi di Mura vennero accolte dal collegio presieduto da Antonio Esposito e con relatore Amedeo Franco, il quale, ad anni di distanza, parlò di “plotone d’esecuzione”.