Rischiare il fallimento pur avendo, sulla carta, la disponibilità finanziaria per pagare i creditori. Rischiare il fallimento perché ci si ritrova incastrati tra gli ingranaggi del sistema bancario che può privarti unilateralmente di un conto corrente tramite il quale operare e la legge che vieta la circolazione, in un’unica soluzione, di somme di denaro in contanti superiori ai 2mila euro.

Le banche chiudono il conto corrente e un’impresa rischia il fallimento perché non può incassare e usare assegni circolari: succede a Napoli dove la ditta, rivoltasi a un avvocato e a un notaio, ha deciso di sollevare una eccezione di legittimità costituzionale. A portare avanti la battaglia legale – che tocca anche il potere in capo alle banche di negare l’accesso a un conto corrente – sono l’avvocato Riccardo Guarino e il notaio Alessandro Zampaglione per i quali con quella decisione le banche hanno violato gli articoli 3, 41 e 47 della Costituzione.

Tutto ha inizio nel 2018 quando la socia di minoranza della impresa di costruzioni Orchidea Immobiliare (con quote pari al 20%) subisce un provvedimento di sequestro preventivo. Per effetto del provvedimento Intesa Sanpaolo e Ubi Banca chiudono i contratti di conto corrente bancario con la Orchidea Immobiliare in quanto il rating ‘antiriciclaggio’ sarebbe stato troppo basso. La chiusura dei conti e l’impossibilità di aprirne altri presso diversi istituti di credito (nessun istituto bancario ha accolto l’azienda sia a causa del provvedimento di sequestro in capo alla socia di minoranza sia a causa dei sopravvenuti protesti) priva l’azienda della disponibilità finanziaria e dunque degli strumenti necessari a saldare i creditori.

Una situazione kafkiana: la società, infatti, ha tra le mani diversi assegni circolari (non trasferibili) oggetto della compravendita di immobili siti all’interno di un complesso residenziale a Pomigliano d’Arco che ha realizzato, ma a causa della chiusura dei conti non può versare quei titoli e disporre del denaro che resta così sulla carta. Né all’azienda viene concessa dalle banche la possibilità di trasferire il denaro, mediante procura speciale all’incasso pure presentata, all’impresa che detiene l’80% delle quote societarie della Orchidea Immobiliare: le banche, infatti, rigettano l’istanza appellandosi all’articolo 43 della legge assegni sui divieti in caso di non trasferibilità dei titoli. E’ impasse. Una soluzione sarebbe la liquidazione in contanti di quegli assegni ma per via del limite alla circolazione dei contanti non se ne parla neppure.

Ecco perché nel ricorso d’urgenza presentato dall’avvocato Riccardo Guarino al Tribunale di Nola (sezione civile) per consentire alla Orchidea Immobiliare di uscire dalle sabbie mobili in cui è piombata. Il legale tocca due punti nodali: anzitutto si contesta la decisione unilaterale delle banche di chiudere un conto corrente, circostanza già oggetto di interesse politico come puntualizzato all’atto giuridico (in una seduta di Commissione l’onorevole Bagnai sottolineò come «l’utilizzo del conto corrente rappresenta ormai uno strumento di cittadinanza finanziaria, in assenza del quale si è privati di una libertà fondamentale. Da tale considerazione discende che la decisione di privare i cittadini di tale strumento non dovrebbe appartenere a un organismo di carattere privatistico»).

In secondo luogo l’avvocato Guarino contesta la legittimità costituzionale della legge che fissa un tetto all’uso dei contanti in un’unica soluzione sottolineando come essa violi gli articoli 3, 41 e 47 della Costituzione. Come si evince dal ricorso, l’articolo 3 viene ‘calpestato’ perché l’impossibilità di aprire un conto corrente crea «una disparità di trattamento con altri soggetti finanziari» dal momento che viene a mancare la possibilità «di tutelare il proprio risparmio e di esercitare, liberamente, l’attività di impresa». La violazione dell’articolo 41 della Costituzione per il quale «l’iniziativa economica privata è libera» si ravvisa perché, si insiste nel ricorso, «la ‘non inclusione finanziaria’, dovuta a circostanze non dipendenti dalla volontà del soggetto, impedisce all’imprenditore di svolgere la propria attività di impresa, essendo costretto, dalla normativa vigente, a ricevere e ad eseguire tutti i pagamenti a mezzo di intermediari. E’ ovvio che, qualora non ci possa avvalere di tali intermediari, ci si trova completamente esclusi dal circuito imprenditoriale, finanziario e sociale».

Infine, la vicenda calpesta anche l’articolo 47 della Costituzione («La Repubblica incoraggia e tutela il risparmia in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito») perché «non si vede come sia possibile che non venga tutelato il risparmio in denaro contante, che è la forma più immediata di ricchezza». «E’ è vero che la norma vigente non impedisce di risparmiare – incalza l’avvocato Guarino – ma impedisce di spenderlo oltre la soglia dei 2mila euro. Pertanto il divieto di spendere denaro sopra la soglia limite, comporta, ineluttabilmente, un disincentivo (e non certo una tutela) a tale tipo di risparmio».