Condannato a 27 anni di carcere in secondo grado ‘grazie’ alla mano (nel vero senso della parola) del medico legale, unica prova, se così può essere definita, in possesso di chi ha condotto indagini lacunose e con una superficialità disarmante, aggravate dal sensazionalismo mediatico di alcune trasmissioni che si sono dilettate in interpretazioni poi smentite dai fonici incaricati dal tribunale. Questa la sentenza della prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che ha confermato la condanna nei confronti di Emilio Lavoretano, accusato dell’omicidio della moglie Katia Tondi, trovata morta in casa il 20 luglio del 2013 a San Tammaro, comune in provincia di Caserta.

L’ex meccanico di Santa Maria Capua Vetere è ritenuto l’unico responsabile dell’omicidio della moglie 31enne, strangolata con laccio all’interno dell’abitazione dove la coppia viveva con un bimbo di 7 mesi. Quel sabato d’estate è stato proprio Lavoretano a chiamare i soccorsi dopo essere rientrato in casa e aver trovato la porta d’ingresso socchiusa e il cadavere della donna riverso sul pavimento con il resto dell’appartamento messo a soqquadro e dal quale sono spariti oggetti preziosi (tra cui la fede nuziale della vittima) e 30 euro che si trovavano in un portafogli.

Proprio l’ora del decesso di Katia diventa un giallo sin da subito. Secondo l’impianto accusatorio l’omicidio sarebbe avvenuto tra le 18 e le 19. Così come riporta CasertaNews, l’incontrovertibilità dell’orario del decesso sarebbe stata fornita dalla misurazione della temperatura corporea della vittima. Tale misurazione avvenne con estrema superficialità mediante “termotatto”, ossia la semplice mano del medico legale utilizzata come strumento di precisione oggettiva. Una superficialità talmente palese tanto da farsi ricorso al dato autoptico del contenuto gastrico di Katia Tondi e si giunse ad un orario approssimativo alle 18 ora in cui Emilio Lavoretano era a casa.

L’alibi dell’uomo, che si è sempre dichiarato innocente (“Sono stati i ladri“), è quello di essere uscito di casa, intorno alle 19, per andare a fare la spesa. Al rientro, poco prima delle 20, la drammatica scoperta e la disperata chiamata al 118 e al 113. Dopo il “termotatto” del medico legale, non ci sono stati approfondimenti tecnici (dall’analisi degli indumenti che indossava Katia ad altre verifiche all’interno dell’abitazione). La donna venne aggredita alle spalle e provò a difendersi, così come dimostrano i segni sul collo e sul volto, mentre l’omicida le stringeva un laccio al collo.

Con il passare delle ore cade la pista della rapina finita in tragedia e le attenzioni si concentrano su Emilio Lavoretano, figlio di un carabiniere in pensione. L’uomo è stato definito dalla procura di Santa Maria Capua Vetere come soggetto pericoloso capace di progettare lucidi disegni delittuosi. Eppure non emerse alcun, reale, movente.

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Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.