L'emozione del giornalista ucraino
Oscar al documentario “20 giorni a Mariupol”, il discorso di Chernov: “Lo scambierei con la Russia”
Il regista: “Non avrei mai voluto fare questo film”
“Non avrei mai voluto girare questo film, vorrei poter scambiare questo premio con la Russia che non attacca mai l’Ucraina“. Sono le parole del regista e giornalista Mstyslav Chernov, video reporter dell’Associated Press che rimase bloccato nel fuoco incrociato a Mariupol, la città conquistata dai russi dopo una battaglia sanguinaria. Il suo “20 giorni a Mariupol” è il primo film ucraino a vincere un premio Oscar, nello specifico la statuetta come miglior documentario.
20 giorni a Mariupol, il discorso di Chernov
Sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, Chernov si è detto “onorato” di portare a casa il primo Oscar per l’Ucraina, sottolineando però che avrebbe preferito non girare il film. “Probabilmente sarò il primo regista a dire che non avrei mai voluto fare questo film – spiega nel suo discorso il giornalista – Vorrei poter scambiare questo premio con la Russia che non attacca mai l’Ucraina, non occupa le nostre città e non uccide decine di migliaia dei miei connazionali. Vorrei che liberassero tutti gli ostaggi, tutti i soldati che proteggono le loro terre, tutti i civili che sono ora nelle loro carceri. Ma non posso cambiare la storia, non posso cambiare il passato”.
“Ma noi, tutti insieme, possiamo garantire che la storia venga chiarita e la verità prevalga; che la gente di Mariupol e coloro che hanno dato la vita non saranno mai dimenticati perché il cinema forma i ricordi, e i ricordi formano la storia”. Chernov ha concluso il suo discorso con “Slava Ukraini”, che significa Gloria all’Ucraina, frase diventata ancor più popolare dopo lo scoppio della guerra.
Il documentario
Il documentario, che ha visto la partecipazione di Michelle Mizner e Raney Aronson-Rath, reporter dell’Associated Press, racconta i primi giorni dell’invasione russa in Ucraina e l’assedio e la distruzione della città di Mariupol avvenuti due anni fa. In una intervista rilasciata nell’aprile 2023 all’agenzia Agi, Chernov racconta il suo lavoro: “Riguardare le immagini dell’assedio di Mariupol – le bombe sull’ospedale pediatrico il 9 marzo 2022, la giovane donna incinta portata via sotto le bombe e che poche ore dopo morirà insieme al suo piccolo – come esercizio necessario per capire cosa accade in altre zone del conflitto ucraino oggi: Bakhmut, Avdiivka e Vuhledar. Un esercizio di memoria, comprensione del presente, ma anche uno strumento per consegnare alla giustizia i responsabili dei numerosi crimini contro i civili”.
Chernov e i colleghi Evgeniy Maloletka e Vasilisa Stepanenko – tutti ucraini e tutti dell’Associated Press – hanno rischiato la vita per documentare le prime tre settimane dell’attacco russo alla città portuale che, a marzo dell’anno scorso, era diventata la zona più pericolosa dell’intero conflitto. “Ovunque le truppe russe si concentrino per puntare a una conquista, la tattica è sempre quella della terra bruciata: bombardare i civili, radere al suolo la città. Mariupol – spiega – non è solo un simbolo di questa guerra, ma anche lo specchio in cui continua a riflettersi il vero volto dell’invasione russa”.
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