Osimhen vuol dire “Dio è buono” in nigeriano. L’attaccante del Napoli ha rilasciato una lunga intervista a Emanuela Audisio di Repubblica. Basta, dice: con la narrazione dei calciatori africani solo come vittime e storie tristi. “Lo sanno tutti che appena vedo bambini vendere acqua ai semafori non provo né antipatia né insofferenza. Non potrei – ha dichiarato – Siamo bravi calciatori, io voglio migliorarmi, in attacco e difesa, imparare ad aiutare la squadra in ogni parte del campo. Sono stato un bambino povero? Sì, ma ora sono qualcosa di più. Altrimenti mi inchiodate a un passato che non rinnego, ma che non tiene conto di come sono andato avanti”.

Victor Osimhen, 23 anni, l’acquisto più caro della storia del Napoli è tornato in campo da poco. Non giocava da due mesi e mezzo e non segnava da 112 giorni. A Venezia ha sbloccato il risultato: colpo di testa. A Milano, contro l’Inter, aveva rimediato una grave frattura allo zigomo in uno scontro con il difensore Milan Skriniar che lo aveva tenuto lontano dal campo. Per lo stesso motivo ha saltato la Coppa d’Africa – vinta dal compagno di club Kalidou Koulibaly con il Senegal. Sabato, allo stadio Diego Armando Maradona, arrivano proprio i nerazzurri per una sfida da alta classifica – 53 punti a 52, ma l’Inter è prima con una partita da recuperare.

Osimhen non ha mai dubitato di potercela fare: troppi gli obblighi che sentiva verso la sua famiglia. “Vengo da Lagos, Nigeria, ma sono originario di Osun, stato del sud, dove convivono cristiani come me e musulmani. Ho perso mia madre subito, io sono l’ultimo figlio, ho tre sorelle e fratelli. Papà non trovava lavoro, così ci siamo spostati nella capitale: una sorella vendeva arance, un fratello giornali, io pulivo grondaie e tagliavo erba. Tutto, pur di sopravvivere. Mio fratello più grande, Andrew, ha rinunciato a studiare, per mantenere me appena sono entrato nella scuola calcio. Devo riconoscenza a lui e alla mia famiglia”

Il suo mito è Didier Drogba: come calciatore e come trascinatore. L’attaccante italiano preferito: Ciro Immobile. Il suo rapporto con Koulibaly: “Ogni volta che si può fare del bene con lui non c’è bisogno di insistere. Al Napoli ho trovato compagni molto solidali”. Vive a Posillipo, piano terra, non si aspettava una città così appassionata. È fidanzato. Quello strano taglio di capelli è opera sua. Se succede una certa cosa, dice, si inventa una sua danza: la Vitor-victory dance. Perché ci pensa alla vittoria, e non lo nasconde.

Mi piacerebbe vincere insieme: Napoli, il Napoli e io. Condividere un viaggio. Ma per lo scudetto devo essere molto di più di un individual player. Allora sì che mi darebbe proprio soddisfazione e trovo che per la città sarebbe strepitoso. Il calcio di Serie A lo trovo competitivo, ogni domenica c’è una squadra che può sbatterti fuori. Mi criticano perché sono permaloso, perché non lascio correre, né un’occasione né un commento, ma io sono felice solo se do il mio meglio, il calcio è il 97% della mia vita, e se qualche volta sui social eccedo, lo faccio solo perché cerco leggerezza. Sono un ragazzo di 23 anni, avrò pur diritto a non essere profondo”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.