Il primo gol in Serie A avrebbe potuto dedicarlo alla famiglia, all’allenatore e alla sua fiducia, alle persone che hanno creduto in lui. E invece Victor Osimhen, 21 anni, attaccante, sabato 17 ottobre, dopo aver segnato la sua prima rete ufficiale con il Napoli è corso a bordo campo, ha preso una maglietta e l’ha mostrata alle telecamere. “#EndPoliceBrutalityInNigeria” c’era scritto sopra a pennarello. E cosa diamine voleva dire?

Se lo sono chiesti in molti. E i giornali si saranno fatti una domanda, hanno sottratto qualche ora e qualche pagina all’”infodemia” sul coronavirus e al pettegolezzo politico e hanno scritto delle proteste che da inizio ottobre vanno avanti nel gigante africano contro le violenze indiscriminate della polizia. La Nigeria oggi era in prima pagina sul Corriere della Sera, con un articolo a tutta pagina di Francesco Giambertone. Ce l’ha portata Osimhen. Il Foglio ha dedicato un corsivo. La Repubblica ne aveva scritto nei giorni scorsi. Il Sole 24 Ore da prima ancora. La rivista Nigrizia ha raccontato costantemente. È però da sabato, dal gesto dell’attaccante azzurro, replicato dal connazionale Nwankwo Simy del Crotone nell’altro anticipo, che si dà più attenzione ai massacri nigeriani.

 

COSA STA SUCCEDENDO – Osimhen ieri ha pubblicato su Twitter la foto di una bandiera della Nigeria insanguinata. Secondo Amnesty International, martedì sera, sono morti 12 civili nelle manifestazioni che hanno portato migliaia di persone in strada a Lekky, Lagos. Fonti locali dicono 18 vittime, tra cui anche due poliziotti. Le proteste nel Paese più popoloso dell’Africa (200 milioni di abitanti) vanno avanti da inizio ottobre. Chiedono l’abolizione della Sars, la Special Anti-Robbery Squad, costantemente accusata di violenze extragiudiziali, minacce, soprusi, uccisioni arbitrarie ai danni della popolazione.

 

A far esplodere la rabbia dei manifestanti, scesi in strada pacificamente, un video, diffuso sui social il 7 ottobre, in cui si vedono degli agenti speciali trascinare fuori da un albergo due uomini, freddandone uno in strada. Di video di violenze e soprusi se ne trovano a grappoli. Le proteste hanno messo insieme diverse classi sociali. Sono scoppiate a Lagos e Abuja per poi diffondersi a Port Harcourt, Enugu, Benin City.

Il Presidente Muhammad Buhari ha accolto la richiesta di cancellare la Sars, di assicurare gli agenti colpevoli alla Giustizia e di riformare le forze dell’ordine. Ma ormai questo non basta più. “I nigeriani sono stanchi di avere paura – ha detto il giornalista nigeriano Patrick Egwu a Il Foglio – Non si accontentano più delle piccole promesse. Ti fermano e ti arrestano perché hai un iPhone e presumono che tu l’abbia rubato. Ti arrestano perché hai un tatuaggio. Poi, ti chiedono dei soldi per la liberazione, se non ce li hai, cosa che capita spesso, potresti essere torturato e, a volte, capita che muori”.  A non convincere i manifestanti è anche la creazione di una nuova unità speciale, la Swat, che assorbirà i membri della Sars dopo specifici esami e addestramenti.

 

Il movimento #EndSars, quindi #EndSwat ed #EndPoliceBrutality, è nato e cresciuto sui social, sostenuto da influencer e quindi da star nigeriane e poi internazionali. La scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie ha pubblicato un lungo articolo sulle brutalità sul New York Times. Le violenze degli agenti non sono certo una novità: nel 2017 uno studio dell’Istituto per l’economia e la pace (Iep) indicava i poliziotti nigeriani come i peggiori al mondo. E Amnesty International documentava le torture, proprio della Sars, ai danni di almeno 82 detenuti, giovani tra 18 e 35 anni, tra il gennaio 2017 e il maggio 2020. Le tensioni in corso in questi giorni colpiscono un Paese già piegato da una lunga crisi economica: il naira continua a deprezzarsi, l’inflazione ha raggiunto il picco del 12,4% a maggio, il governo non riesce a diversificare un’economia che resta dipendente dal petrolio, le disuguaglianze dilaniano la popolazione.

LO SPORT – Sembra ormai obbligatorio che i campioni debbano prendere una posizione. Che partecipino a campagne di sensibilizzazione e solidarietà. Sulla situazione in Nigeria hanno detto la loro anche il campione di pugilato Anthony Joshua e di Formula 1 Lewis Hamilton. E il calcio sembra essere uscito negli ultimi anni – in particolare con il #blacklivesmatter – da una sorta di estraneità all’engagement sociale e politico che lo aveva più caratterizzato in passato. Alcuni esempi: Kevin Prince Boateng, Lilian Thuram e Claudio Marchisio (che con merito ha evidenziato la spontaneità del calcio femminile e delle sue protagoniste nel denunciare disuguaglianze e discriminazioni). Prende questa direzione il gesto di Osimhen. Un impegno che non ha nulla di costruito, tracciato a pennarello su una maglietta bianca, quello dell’attaccante del Napoli cresciuto in strada, a vendere acqua ai semafori, nella zona di Olusosun, dove c’è una discarica da 100 acri, la più grande dell’Africa. Sa di cosa parla.

Antonio Lamorte

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