Una lectio magistralis di quelle che non si dimenticano. Quella che Paolo Guzzanti ha impartito ieri a studenti e docenti dell’Università Link di Roma è stato un excursus tra analisi e aneddoti, storie e di un interlocutore unico nel suo genere. Protagonista di cinquant’anni di giornalismo – con La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Panorama e dal 2020 con Il Riformista – e poi politico appassionato, senatore con Forza Italia e infine vicesegretario del PLI, Guzzanti è l’unico intellettuale ad essersi misurato con una seconda vita da parlamentare con uguale successo.

La sua attività in favore della commissione Mitrokhin non ha fatto sconti a nessuno, procurandogli qualche inimicizia a destra e a sinistra. Ieri ha incantato l’uditorio – presente la figlia Sabina Guzzanti, la coordinatrice del corso di laurea in Scienze Politiche, Maria Teresa Morelli, il regista Francesco Sala e numerosi docenti incardinati della Link – sul tema: “La democrazia americana è più forte o più debole?”.
L’audax questio rimarrà senza risposta, ma come convengono i relatori che lo hanno presentato: «Conta più porsi le domande giuste che pretendere di avere tutte le risposte». Guzzanti ripercorre i suoi anni americani: negli Stati Uniti ha ancora una parte della famiglia. «Gli americani inventano, iniziano, progettano. Poi il mondo trasforma le loro invenzioni», dice.

Vale anche per la democrazia contemporanea. Prese le debite misure: «La Costituzione americana non è rigida come la nostra, è una raccolta di leggi, sentenze e pronunciamenti che rendono modellabile il sistema americano. Prima repubblica al mondo, se si esclude la Serenissima, nata mille anni prima, quella americana è una monarchia repubblicana: il presidente degli Stati Uniti è un Re, e la first lady ha tutti i poteri che hanno le regine», dice Guzzanti. Oggi vanno fatti i conti con the Donald. «Se Trump forza i poteri, ci sono vincoli, check and balance. Ma mai come oggi l’America è stata in crisi», spiega ancora Guzzanti. Come d’altronde è in crisi il mondo.

L’analisi tocca la guerra in Ucraina e la Russia. Guzzanti ripesca dalla memoria il suo carteggio con Vladimir Putin ai tempi della Mitrokhin. Da presidente della commissione di inchiesta aveva fatto richiesta al Cremlino di collaborazione: nomi, date, documenti. «Caro Guzzanti, se le rispondessi minerei alla radice la sicurezza dello Stato», l’algida replica di Putin. E poi rievoca le interviste importanti. Quella con Craxi ad Hammamet. Quella con Arafat all’hotel Excelsior di Roma: «Fui l’ultimo ad intervistarlo. Lo incontrai alle 16, mi trattenne fino alle due di notte. Durante tutta l’intervista pianse, stringendosi nelle spalle: “Quei terroristi di Hamas mi vogliono uccidere. E mi uccideranno”. Poco dopo Arafat morì in circostanze mai chiarite, e Hamas prese a uccidere israeliani. Su mandato dell’Iran».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.