Il Papa ha rivestito il concetto, l’astratto, la paura, la solitudine. Da oggi ogni volta che cercherò l’immagine della solitudine, l’uomo nell’immenso, vedrò Bergoglio solo sul sagrato della Basilica di San Pietro.

E davanti a quell’immagine, l’indescrivibile che da giorni mi accompagna diventa semplice, chiaro. Il Papa che parla da solo con Dio, una preghiera intima, ancestrale, è l’essenza del bisogno dell’uomo di Dio, prima delle religioni, prima delle chiese, nelle foreste, nei villaggi del Quaternario e in questo bisogno c’è tutto il nostro conforto.

Il colonnato come le sequoie e la paura dell’ignoto, circondati dall’immenso dentro e fuori, un virus, un segno di quella natura non benigna nei secoli, che solo Dio può dominare.

La tempesta. E Jorge, il vecchio del villaggio, che ha vissuto il terrore della dittatura, la perdita della sicurezza, la stessa che abbiamo perso noi ora, apparentemente fragile e ormai privo di vigore nel corpo, affronta Dio per i suoi figli.

Chiede misericordia, prova a spiegare che i suoi figli la lezione sulla superbia l’hanno capita e ora si possono perdonare. Non ci abbandonare.

Hanno pagato per le loro colpe, hanno sofferto la loro impotenza, pianto gli errori, patito nel corpo e nell’anima ancora di più, sono uomini e donne diversi e migliori.

E i bambini Dio, i tuoi figli più cari, gli innocenti risparmiati, hanno bisogno dei genitori, dei nonni, dell’amore. Ti prego ascoltami. Con se il Papa ha solo uno di quei figli, Cristo. Il vecchio del villaggio, parla con Dio e ci mette di fronte alla morte, perché il disegno resta ignoto.

Dio ascolterà? Il silenzio può essere terribile e allora il vecchio, l’anima del villaggio, il primo uomo, ci abbraccia tutti e ci assolve, ci libera da ogni fardello, da tutto il peso che può sopportare lui, tanto vecchio e tanto forte.