Sulla base del lavoro collegiale e del contributo competente degli uffici della Camera, come accade ogni dieci mesi, il Comitato per la Legislazione ha presentato oggi il Rapporto relativo ai miei dieci mesi di Presidenza (gennaio-novembre 2021) che vado qui a sintetizzare. Il Comitato, un innovativo organo della Camera introdotto con la Presidenza Violante, vive e si alimenta sia di un grande dialogo interno che sfocia in decisioni unanimi, sia in un dialogo esterno, in particolare con le istituzioni di garanzia, i cui atti sono sempre fonte di approfondimento e di ispirazione.

Esso agisce sempre sulla base delle prerogative previste dal Regolamento Camera, ma da tempo anche sia sulla base della libera iniziativa dei singoli che sempre più, specie in questa legislatura, ritengono opportuno far seguire ai pareri formali iniziative parlamentari che ne sono un naturale prolungamento, a partire da emendamenti e ordini del giorno. In questo caso credo che il Rapporto possa essere particolarmente utile per fare il punto su alcuni nodi di sistema, che l’imminente riforma Regolamentare potrebbe almeno in parte affrontare e risolvere.

Cosa ha visto il Comitato nei dieci mesi in cui l’ho presieduto?
In primo luogo anche l’anno 2021 si è aperto con una rilevante quantità di Dpcm, i quali, pur con la procedura di parlamentarizzazione introdotta l’anno precedente con un emendamento del sottoscritto, maturato anche in dialogo coi componenti del Comitato, erano ancora percepiti come limitativi del potere di emendamento dei parlamentari. La procedura era stata introdotta in sede di conversione del decreto-legge n. 19 del 2020 in Aula il 12 maggio 2020 con l’emendamento 2.51: consisteva nella previa comunicazione alle Camere dei contenuti del Dpcm e nella conseguente espressione su tali comunicazioni di atti di indirizzo parlamentare. Non si trattava quindi di porre rimedio a una questione di illegittimità (che nel frattempo la Corte costituzionale escludeva in particolare con la sentenza 198/2021), ma di opportunità, peraltro ben fondata e rilevante per le prerogative parlamentari.

Passando al secondo punto sintetico, il Comitato ha rilevato la creazione di fonti atipiche lesive delle prerogative parlamentari, in particolare la derogabilità di norme di legge da un atto non legislativo quale la deliberazione del Consiglio dei ministri.

In terzo luogo il Comitato ha segnalato l’anomalia per la quale il cosiddetto “monocameralismo di fatto” sia divenuta nell’emergenza una regola assoluta, data quasi per scontata nella conversione dei decreti-legge, anche con la trasmissione dei testi in seconda lettura a pochissimi giorni dalla scadenza dei sessanta giorni. Peraltro, nella Legislatura in corso il “monocameralismo alternato” si è esteso anche alla sessione di bilancio: solo nel 2018, infatti, il disegno di legge di bilancio ha visto una terza lettura, laddove nelle legislature precedenti l’approvazione con solo due letture è evento assai sporadico (successivamente al 2000 avvenuto solo nel 2010, nel 2011 e nel 2016).

Come quarto punto di sintesi il Comitato ha posto l’attenzione sui cosiddetti decreti “minotauro” o “matrioska” che dir si voglia, ossia decreti che durante l’esame finiscono per assorbirne altri in corso di conversione. Dall’inizio della Legislatura al 15 gennaio 2022 il fenomeno ha interessato 33 decreti-legge, mentre erano 31 alla fine del turno di presidenza.

In quinto luogo, in relazione al Pnrr, il Comitato ha cercato di esaminare i primi decreti che lo regolavano, in modo da indirizzare gli atti successivi verso lo strumento fisiologico della delega legislativa.

Infine, in sesto e ultimo luogo, riassumendo vari altri profili relativi alla decretazione d’urgenza, il Comitato ha rilevato che a fare problema non sono tanto quelli quantitativi che di per sé in una fase di emergenza potrebbero essere in parte giustificabili (non però fino a rappresentare come decreti convertiti il 66% del totale di parole delle leggi approvate nella Legislatura), ma altre anomalie qualitative come la persistente eterogeneità che tende ad eludere i vari limiti, e anche l’abrogazione o la modifica esplicita ad opera di un decreto-legge di norme contenute in un altro decreto-legge ancora in corso di conversione, che si potrebbero denominare “decreti staffetta precoce” perché subentrano prima che i precedenti possano avere passato loro correttamente la staffetta, ossia dopo la conversione.

Come ha quindi giudicato il Comitato questi sei aspetti?
In primo luogo esso ha ritenuto che fosse opportuno rilegificare tutte le materie affidate ai Dpcm.

Passando al secondo punto, nella sua funzione di presidio contro fonti atipiche lesive del Parlamento, il Comitato ha raccomandato al Governo di evitarle in futuro.

In terzo luogo, sul “monocameralismo di fatto” il Comitato ha segnalato l’opportunità di un razionale utilizzo della doppia lettura. Dopo la fine del turno di presidenza la raccomandazione è stata riproposta a fronte di un decreto-legge trasmesso dal Senato solo nove giorni prima del termine per la conversione.

Sul quarto punto, sui decreti “matrioska” fin dall’avvio del turno di presidenza il Comitato ha segnalato l’esigenza di evitare tale fenomeno.

In quinto luogo, sul Pnrr, cogliendo l’occasione dell’esame del disegno di legge-delega di riforma del processo penale, il Comitato ha inserito l’auspicio che si facesse ricorso per le riforme di settore a leggi-delega caratterizzate da una formulazione attenta dei principi di delega e da un forte coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari nel processo di attuazione della delega.

In sesto e ultimo luogo, sugli ulteriori aspetti anomali relativi ai decreti, i pareri hanno segnalato in molte occasioni la difficoltà di individuazione di una ratio unitaria di intervento del provvedimento e hanno censurato il fenomeno dei decreti “staffetta precoce”. Essi, dopo essersi presentati con una certa frequenza nella prima fase dell’epidemia, nella primavera 2020, si sono manifestati in questo turno di presidenza, ma soprattutto nella cosiddetta “quarta ondata”.

Come hanno agito il Comitato e i suoi componenti?
In primo luogo, sui Dpcm, un tentativo è stato fatto con l’ordine del giorno Ceccanti n. 8 al decreto 2/2021 che impegnava quindi il Governo a «valutare l’opportunità di operare per una ridefinizione del quadro normativo delle misure di contrasto dell’epidemia da Covid-19 anche valutando di affidare a una fonte diversa dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato nelle modalità finora osservate, una definizione più stringente del quadro generale delle misure da applicare nelle diverse zone individuate sulla base del grado di diffusione del contagio per la parte attinente all’esercizio di libertà costituzionali fondamentali quali la libertà di movimento (art. 16 Cost.), la libertà di riunione e manifestazione (art. 17 Cost.) e la libertà di culto (art. 19 Cost.)». In effettiva attuazione dell’ordine del giorno, a partire dal decreto-legge n. 52/2021, il Governo si è quindi mosso nella direzione di rilegificare le materie prima oggetto di Dpcm. Su questo aspetto il lavoro del Comitato è stato quindi molto efficace.

Sul secondo punto il Comitato ha apprezzato il fatto che sia stato sufficiente il parere critico contro fonti legislative lesivo delle prerogative parlamentari per non far mai utilizzare l’anomala procedura di delegificazione del decreto 44/2021. Anche in questo caso, pertanto, l’efficacia del lavoro è stata alta.

Invece il bilancio sulla terza questione, il cosiddetto monocameralismo di fatto, è stato molto negativo: il fenomeno sin qui non è stato arginato. Ci si può chiedere quanto esso possa essere considerato reversibile per autonoma iniziativa parlamentare e/o autodisciplina del Governo o quanto invece possa essere affrontato con una riforma costituzionale che, approfittando dalla prossima legislatura della nuova composizione ridotto delle Camere, possa affidare alcune prerogative al Parlamento in seduta comune e a Commissione riunite Camera-Senato.

Sul quarto punto, relativamente ai decreti ‘matrioska’, è da segnalarsi l’approvazione in Assemblea, nella seduta del 20 gennaio 2021, ad amplissima maggioranza di un ordine del giorno presentato dai componenti del Comitato contro tale fenomeno, limitandolo a circostanze di assoluta eccezionalità da motivare adeguatamente nel corso dei lavori parlamentari; tale impegno è stato poi ribadito in un ulteriore ordine del giorno accolto con una riformulazione dal Governo nel corso della discussione in Assemblea nella seduta del 23 febbraio 2021 su un altro decreto. Ciononostante, in ulteriori sei occasioni il Comitato ha dovuto segnalare con una raccomandazione come il Governo non abbia fornito alcuna motivazione delle ragioni di assoluta eccezionalità alla base della decisione di far confluire un decreto-legge in un altro. Il bilancio del lavoro su questo aspetto è stato quindi obiettivamente inferiore alla sufficienza. Più efficace, sullo stesso tema, sembra essere stata, almeno nel periodo immediatamente successivo, la lettera del Presidente della Repubblica ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2021. Tuttavia, in seguito, in occasione della quarta ondata, il fenomeno ha purtroppo conosciuto una nuova attualità.

In quinto luogo, sul Pnrr, un ordine del giorno accolto dal Governo ha ripreso l’indirizzo che per l’attuazione punta sulla delega legislativa più che sui decreti.

Infine, sul sesto punto, su tutte le ulteriori anomalie relative ai decreti, i componenti del Comitato hanno avanzato, durante il turno di presidenza, a latere dell’attività istituzionale, in vista dell’auspicata riforma regolamentare, alcune proposte per tentare di arginare e regolamentare il fenomeno. In particolare, a seguito della riflessione avviata nella seduta del Comitato dell’8 aprile 2021, tutti i componenti del Comitato hanno presentato una proposta di riforma del regolamento della Camera volta ad introdurre, quale alternativa al ricorso alla decretazione d’urgenza, una forma di “voto a data certa”.

In particolare, la proposta prevede che per un numero limitato di provvedimenti (tre per un programma trimestrale, due per un programma bimestrale), la dichiarazione d’urgenza di cui all’articolo 69 del Regolamento possa essere integrata con l’indicazione della data di deliberazione finale dell’Assemblea non superiore a quaranta giorni dalla dichiarazione d’urgenza (si ricorda che in caso di dichiarazione d’urgenza il tempo per l’esame in sede referente è ridotto da due mesi a un mese). Come precisa la relazione illustrativa della proposta, si tratta di una soluzione che non esclude una più ampia e complessa riflessione sull’eventuale revisione dell’articolo 77 della Costituzione in materia di decretazione d’urgenza, già all’esame della I Commissione che ha già approvato un testo base Baldino-Ceccanti.