Non credo del tutto all’ipotesi che sulle riforme istituzionali si faccia davvero sul serio. Non so nemmeno ancora esprimere un parere sulla qualità dell’impianto (che se curato dal Ministro Casellati è sicuramente accuratamente studiato), anche se in principio aumentare i poteri di un premier eletto dal popolo inietterebbe efficienza in una macchina, quella istituzionale, troppo lenta a fare cose dirette a impattare su un mondo che invece cambia velocissimamente.

A naso, non mi sembra una grande idea quella di poter sostituire il premier eletto con un altro parlamentare di maggioranza, per sbarrare la strada ai governi tecnici. Perché i segretari di partito puntano dichiaratamente (si è già visto nelle ultime tornate) a riempire il Parlamento di gente anonima, a volte persino mediocre o fessa, che come unico pregio ha quello di non poter mai fargli ombra. Non vorrei dunque si potesse arrivare mai al paradosso di ritrovarsi, al posto di un premier eletto, un suo sostituto inadeguato, magari ritenuto più governabile. Abbiamo bisogno di persone in gamba, non di fessi.

La partita delle riforme però potrebbe essere interessante per un altro aspetto, più politico che sostanziale. Nel centrodestra si accenderà la partita sull’autonomia differenziata e su varie modifiche care ai partiti di maggioranza. Ma la riforma potrebbe essere una ghiotta occasione anche per chi è fuori dal centrodestra, e i cui voti potrebbero essere decisivi per raggiungere la soglia dei due terzi dei voti parlamentari a favore della riforma, che cosi eviterebbe il referendum confermativo.

E Giorgia Meloni potrebbe avere di sicuro interesse a scansare una consultazione che già costò le riforme a Silvio Berlusconi prima, e a Matteo Renzi poi. Quel referendum non ha quorum di validità, e motiva più chi vuole andar a votare contro il proponente, di solito accerchiato in modalità uno contro tutti a difendersi dall’accusa di voler diventare padrone d’Italia. È perciò difficile da vincere.

E siccome alla riforma istituzionale è allegata, inevitabilmente, quella della legge elettorale, partiti che vogliano restituirsi una chance di miglior vita potrebbero sedersi eccome al tavolo di confronto per spuntare qualcosa di più positivo per loro, che hanno i voti necessari a farla passare con una maggioranza qualificata, ed evitare al Governo l’accusa di autoritarismo che già monta, un po’ ridicolmente (le democrazie, specie per reggere l’urto con i regimi, devono poter decidere ed essere molto più efficienti).

Consapevoli del fatto che la Corte Costituzionale ha già bocciato in passato le leggi elettorali che prevedessero un premio di maggioranza spropositato rispetto al risultato ottenuto dalle coalizioni nelle urne, e che un proporzionale consentirebbe le coalizioni ma anche sopravvivenza a chi preferisce andare da solo, non si sa mai che Giorgia Meloni possa avere qualche sponda in più sulle riforme. Vedremo.