La rivista Mondoperaio di gennaio dedica uno speciale alla figura di Bettino Craxi che annovera una serie di pregevoli interventi, tra cui quello di Claudio Petruccioli, di cui anticipiamo ampi stralci per gentile concessione dell’editore.

Il 5 e 6 aprile 1992, il Parlamento fu rinnovato per l’ultima volta con la legge proporzionale usata da quando esisteva la Repubblica. I risultati di quel voto offrono un fixing prezioso sull’orientamento e sugli stati d’animo degli italiani, delle loro attese e dei loro timori in quel momento cruciale.

Alla Camera tutti gli eletti nelle liste “alla sinistra della Dc” senza alcuna esclusione (Pds, Psi, Rc, Pri, Psdi, Verdi, Rete, Lista Pannella) erano 312; identico numero si raggiungeva sommando i deputati di Dc, Lega, Msi e Liberali; i 6 mancanti per arrivare a 630, sparsi fra minoranze linguistiche e liste minime. Idem al Senato: rispettivamente 153, 152 e 10.

La Dc aveva perso quasi il 5 per cento ed era scesa, per la prima volta nella sua storia, sotto il 30% (29, 66); neppure il risultato del Psi era stato brillante (flessione dello 0,65 e due seggi in meno). Ne usciva compromesso l’asse delle maggioranze che avevano retto i governi negli ultimi venti anni; sicché anche lo striminzito risultato elettorale del Pds poteva indurre a ragionamenti, o almeno a calcoli, non abituali. I voti della Dc, come quelli di Pds e Psi sommati erano intorno al 30% (29,66 contro 29,73: neppure 25.000 voti di differenza): numeri ideali per incardinare un bipolarismo politico con una alternanza di tipo europeo. A condizione, naturalmente, che si riuscisse a unificare politicamente l’area, ancora divisa, in cui si collocavano Psi e Pds. Anche lì, peraltro, i numeri aiutavano.

Al 16,11% del Pds faceva riscontro il 13,62% del Psi che, con l’aggiunta dei voti Psdi saliva al 16,33%, meno di centomila voti di differenza. Dunque perfetto equilibrio, e assoluta incertezza. Come se gli elettori avessero voluto dire ai protagonisti della politica: “Noi vi abbiamo preparato una situazione aperta; adesso tocca a voi scegliere, decidere, trovare le soluzioni migliori”.

Le difficoltà e gli ostacoli erano enormi, ma diventava possibile pensare e cercare di mettere in atto scelte che fino a quel momento erano sembrate o comunque erano risultate impossibili. Serviva chiarezza, fermezza, lungimiranza. Dc e Psi riunirono i loro organismi di vertice a quarantott’ore dalla chiusura delle urne. Il Coordinamento politico del Pds che si riunisce quel giovedì trova sul tavolo un bel po’ di materiale, soprattutto le novità di casa socialista.

La risposta è molto prudente, ma non di chiusura; il giorno dopo l’Unità la riassume così: «Occhetto: no alle sirene ma non resteremo in frigorifero». Il segretario della Quercia ha giudicato ‘positiva’ la richiesta di aprire il confronto venuta l’altra sera dall’esecutivo socialista. Il documento approvato — lungo e farraginoso, sintomo di incertezze e divisioni — viene pubblicato il sabato. La tesi centrale è che “l’era democristiana è finita”, e il titolo che l’accompagna rivendica “un governo che rompa con l’era dc”.

Martedì 14, alla vigilia della riunione socialista Occhetto torna sull’argomento in un’intervista a l’Unità, ampia e impegnata. «Io credo — dice – che il voto ci abbia caricato di una responsabilità nazionale, ma anche europea. Ormai è evidente che siamo di fronte, noi ma anche il Psi, e tutte le altre forze della sinistra a una questione rilevantissima: perché la sinistra, per motivi e per condizioni diverse, non riesca a dare risposte convincenti, in termini elettorali e progettuali, in termini di blocco sociale e politico, alla crisi che accompagna la fine del ciclo neoliberista.