Ieri abbiamo raccontato come gli Stati Uniti e gli alleati occidentali fossero inclini a portare i comunisti italiani al governo durante gli anni del Compromesso storico (fallito per la soppressione del contraente e garante Aldo Moro) per due ragioni solide. La prima era incoraggiare lo strappo del Pci da Mosca, iniziato da Enrico Berlinguer con la scelta dell’ombrello della Nato e il riconoscimento della fine della “spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre”, ma poi rimasto senza una vera conclusione, ciò che impediva agli alleati occidentali di condividere i segreti militari. La seconda era il desiderio di liberarsi di democristiani e socialisti che si erano rivelati infidi o addirittura nemici. Per questo era cominciata una marcia di avvicinamento fra il Dipartimento di Stato e la stessa Central Intelligence Agency, verso il Pci. La nota amicizia e reciproca stima fra Giorgio Napolitano ed Henry Kissinger non sono casuali. E credo che quando Giuliano Ferrara dice di aver lavorato per la Cia, intenda dire di avere aderito a questo progetto, anche se bisognerebbe chiederlo a lui.Nel Partito dunque si era formata e consolidata una forte corrente filoamericana duramente contrastata da quella filosovietica di Armando Cossutta. Ciò che interessava agli Occidentali non era affatto – come sosteneva la propaganda ispirata dall’Urss – imporre governi golpisti, reazionari, padronali e nemici dei sindacati, ma semmai il contrario: la Cia ha sempre perseguito una linea dura antisovietica, ma per quanto possibile riformista e anche apertamente di sinistra purché schierata contro l’Urss. Al Dipartimento di Stato americano interessava aver la certezza che il personale di governo in Italia non andasse a spifferare ai russi segreti di natura militare e strategica. Ciò che invece era accaduto in alcuni casi con il personale specialmente democristiano.

LEGGI ANCHE – La vera storia di Mani Pulite (che nessuno vi vuole raccontare)

Le informazioni che sto cercando di ordinare hanno le loro fonti in alcuni testi fondamentali, ascoltati negli anni della mia presidenza della Commissione bicamerale d’Inchiesta sulle influenze sovietiche in Italia, nel lavoro che ho svolto in quanto appartenente, per molti anni, alla delegazione parlamentare italiana presso la Nato. D’altra parte, il racconto che sto per fare non contiene alcun segreto ma solo molto buon senso e può essere facilmente verificato e confermato con ricerche accessibili. Cominciamo da Michail Gorbaciov. Chi era costui? Era il pupillo, il prescelto e selezionato dall’uomo più intelligente, anche spietato, ma molto ben informato dirigente che l’Unione Sovietica abbia avuto. Stiamo parlando di Yuri Andropov, che fu prima il sovrano direttore del KGB per ben quindici anni, dal 1967 al 1982, anno in cui successe a Leonid Breznev, l’uomo immobile dalle enormi sopracciglia. Andropov vide che la partita fra Urss e Stati Uniti con i loro alleati, era in prospettiva una partita persa. E allevò, come suo successore e uomo di fiducia, Gorbaciov, che aveva un appeal di tipo occidentale per vivacità intellettuale, età e anche per avere una moglie elegante come Raissa che poteva fare bella figura sulla scena internazionale. Poi le cose si svolsero in maniera convulsa e imprevista perché Andropov morì prematuramente il 9 febbraio 1984, troppo presto per consolidare la successione del suo candidato Gorbaciov, sicché le vecchie cariatidi del Cremlino insediarono il più immobilista della loro cerchia, Konstantin Cernienko. Gorbaciov fu costretto a saltare un turno e aspettare la morte di costui per salire sul podio più alto del governo sovietico. Per comprendere la natura della politica militare di quella fase, che riguardò direttamente la politica italiana per la vicenda dei cosiddetti Euromissili, occorre fare un passo indietro, piuttosto lungo. Bisogna cioè risalire all’inizio della Guerra Fredda, quando i Paesi occidentali si erano riuniti nell’Alleanza Atlantica della Nato e quelli dell’Est, sotto stretto comando sovietico, nel Patto di Varsavia da cui si sfilò soltanto la Romania di Ceausescu, che pagò con la vita il suo sgarro in epoca gorbacioviana.

LEGGI ANCHE – Non è più una terra per giganti: c’erano una volta Craxi e Berlinguer

Esiste un libro che si chiama A Cardboard Castle? – An inside story of the Warsaw Pact 1955-1991, che nessun editore italiano ha trovato conveniente tradurre e pubblicare. Questo testo, certificato dai documenti originali, lo si può acquistare via Internet e vale quel che costa. Il volume contiene, insieme a due eccellenti saggi, tutti i verbali di tutte le riunioni del Patto di Varsavia, dalla prima – 1955 – all’ultima – 1991 – seduta. Se si ha la pazienza di leggere, si scopre che ogni riunione ripete con alcune varianti, lo stesso schema: le potenze occidentali attaccano proditoriamente il blocco dell’Est che, dopo aver fermato l’aggressione, prontamente contrattacca penetrando nell’Europa occidentale con operazioni velocissime e brutali, e uso di un buon numero di armi atomiche tattiche (cioè relativamente piccole ma capaci di polverizzare una città) per sigillare le coste atlantiche e rendere uno sbarco americano impossibile. Per questo il Patto di Varsavia aveva bisogno di missili “a medio raggio” (cioè non in grado di attraversare l’Atlantico e colpire gli Stati Uniti) ma capaci di mettere a tacere le difese europee. Qualcuno si chiederà a quale scopo l’Urss e i suoi satelliti avrebbero compiuto una tale azione. Sia Gorbaciov che Eltsin hanno fornito la spiegazione, ben illustrata anche dall’intellettuale dissidente russo residente a Londra Vladimir Bukowski, mio caro amico scomparso da poco, che scrisse un magistrale Urss, come l’Unione Sovietica voleva inghiottire l’Europa dopo essere stato internato proprio da Yuri Andropov in un lager in cui i prigionieri venivano mantenuti in stato di sonnolenza perenne. In breve, il programma che Andropov tentò disperatamente di spingere e che poi fallì, prevedeva una conquista fulminea dell’Europa occidentale, Italia compresa naturalmente, in cui sarebbero stati instaurati dei governi fantoccio ma con finte coalizioni precotte con ecologisti, finti socialdemocratici, non troppi comunisti per dare una parvenza “democratica”.  I missili SS20 a testata multipla furono installati dai russi nei Balcani e in Italia si scatenò un inferno politico contro l’installazione di missili Cruise e Pershing 2 in Sicilia, capaci di contrastare tali armi. L’installazione cominciò nel 1983 e in Italia, come nei principali Paesi europei, le sinistre e i movimenti pacifisti dimostrarono duramente contro questi missili di risposta. Nella lotta politica che si svolse in Parlamento e sulla stampa, oltre che nelle piazze, il Pci dopo alcuni contorcimenti e qualche dissenso interno, si schierò sulla linea gradita all’Unione Sovietica. Questo causò una frattura molto profonda anche nell’Italian Desk di Washington, dove gli americani avevano sperato a lungo che il Partito comunista italiano seguisse l’indicazione di Berlinguer, che nel frattempo era scomparso, secondo cui ci si sentiva più protetti sotto l’ombrello della Nato. Ma anche con questa frattura, peraltro prevista realisticamente, non furono annullati i rapporti speciali tra la frazione filoamericana del Partito comunista e Washington.

Paolo Guzzanti

Autore