Il Partito democratico continua ad essere il partito di riferimento della maggior parte della Procure del Bel Paese. Pur avendo votato in maniera compatta nella scorsa legislatura, a febbraio 2022, per il conflitto di attribuzione relativamente all’indagine Open condotta dalla Procura di Firenze, un suo esponente di punta, l’avvocato Andrea Pertici, professore di diritto costituzionale all’Università di Pisa, da poco chiamato da Elly Schlein nella segreteria nazionale, ha difeso nei giorni scorsi l’operato dei pm fiorentini nell’udienza alla Consulta. Un corto circuito su cui ci sarebbe da scrivere per giorni.

Come disse però una volta il presidente dell’Unione delle camere penali, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, le Procure sono “uffici dove si esercita il potere più forte ed incontrollato del Paese”. Quando si tratta di nominare un procuratore, al Consiglio superiore della magistratura iniziano ad andare in fibrillazione mesi prima. Sulla nomina del capo della Procura di Roma, quella che secondo Giulio Andreotti vale almeno tre Ministeri, si consumò nel 2019 uno degli scontri più violenti che la storia della magistratura ricordi, con le dimissioni di ben cinque togati di Palazzo dei Marescialli e dell’allora procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio.

Il rapporto fra Pd e Procure è risalente nel tempo. Non si contano, infatti, i pm che, appesa la toga al chiodo, sono stati candidati negli anni nelle liste dei dem. Un nome fra tutti: l’ex procuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio, uno dei protagonisti della stagione di Mani pulite. La genesi di questo legame indissolubile risale al 1964 con la nascita di Magistratura democratica. Quell’anno a Bologna un gruppo di magistrati fortemente ideologizzati decise che era giunto il momento prendere posizione nel dibattito politico, stringendo un patto di ferro con l’allora Partito comunista. Un patto che ha condizionato e condiziona anche oggi l’attività della categoria.

“Magistratura democratica si autoproclama superiore dal punto vista etico: se sei collaterale al Pci-Pds-Pd sei un sincero democratico e un magistrato libero e indipendente, altrimenti sei un traditore dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e devi essere cacciato come infame”, disse l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara nel libro intervista “Il Sistema” con il direttore di Libero Alessandro Sallusti.

Il rapporto Pd-Procure è talmente stretto che il governatore della Regione Puglia, il pm barese Michele Emiliano, nel 2016 si candidò addirittura alla segreteria nazionale del Pd. C’è stato bisogno dell’intervento della Corte costituzionale per ricordargli che i magistrati, anche se fuori ruolo per incarichi politici, non possono prendere la tessera del partito e tanto meno candidarsi ai vertici dello stesso. Il caso Emiliano è, però, solo la punta dell’iceberg di un rapporto che non può non appannare il principio di terzietà ed indipendenza delle toghe.

Si è ricordato come gli ultimi tre procuratori nazionali antimafia, terminato il loro mandato, sono poi finiti in Parlamento, due di loro, Pietro Grasso e Franco Roberti, proprio con il Pd. Pietro Grasso, eletto poi presidente del Senato, iniziò la campagna elettorale che era ancora in servizio a via Giulia. Negli ultimi anni il rapporto si è accentuato. Uno degli stretti collaboratori del ministro della Giustizia Andrea Orlando, il sostituto procuratore generale Raffaele Piccirillo, era stato proposto nel 2018 come capolista per il Pd alla Camera nel collegio di Caserta. Candidatura poi sfumata e comunque mai smentita dal diretto interessato che l’anno dopo tornò al Ministero della giustizia, con l’incarico di capo di gabinetto, durante il governo giallorosso. Piccirillo è tutt’ora il rappresentante italiano presso il Greco, l’organo anti corruzione del Consiglio d’Europa che non perde occasione per bacchettare il governo italiano appena si azzarda a proporre una riforma che limiti lo strapotere dei pm.

Orlando, poi diventato ministro del Welfare, ha fatto nominare un altro magistrato, Bruno Giordano, a capo dell’Ispettorato del lavoro, incarico ricoperto fino al giorno prima dal generale dei carabinieri Leonardo Alestra. E come dimenticare, infine, l’ultimo capo di gabinetto di Orlando a via Arenula, Giovanni Melillo, prima nominato procuratore di Napoli ed ora procuratore nazionale antimafia. Insomma, essere vicini ad un politico dem porta bene.

Paolo Pandolfini

Autore