Mentre il mondo continua a oscillare tra l’ottimismo di chi intravede una luce in fondo al tunnel grazie all’arrivo dei vaccini e il pessimismo di chi considera imminente la terza ondata della pandemia, il sistema produttivo inevitabilmente si trova a subire uno stallo sempre più preoccupante. Secondo la Banca europea degli investimenti, per oltre l’80% delle imprese l’incertezza è il principale motivo di freno agli investimenti, per l’Italia questo dato sale addirittura al 96%. Da più parti si invocano, a giusta ragione, garanzie e rassicurazioni che possano andare oltre la fase dell’emergenza.

Nella primissima fase della crisi, a marzo e aprile, è stato affrontato prioritariamente il problema della liquidità delle imprese che, in Italia, il Governo ha provato a tamponare fornendo la propria garanzia sull’erogazione di nuovi prestiti e sulle moratorie di quelli già in essere. In questo modo, attraverso il sistema bancario, chiamato a svolgere un ruolo di estrema delicatezza, è stata possibile l’immissione della liquidità necessaria a dare immediatamente ossigeno e a preservare il sistema produttivo e il futuro delle famiglie. Ora però lo scenario sta rapidamente mutando e dalla fase dell’emergenza sarà necessario passare, al più presto, a quella ancora più complessa e delicata della ricostruzione. Bisogna cioè uscire dall’incertezza.

Come visto dai dati della Bei è questa la condizione preliminare per qualsiasi investimento e, di conseguenza, per la futura ripresa. Affinché ciò sia possibile sarà necessario fare in modo che quella liquidità immessa nei mesi di marzo e di aprile – attraverso i prestiti e le moratorie – non si trasformi in crediti deteriorati. Se, infatti, è senz’altro vero che le garanzie sono dello Stato, è altrettanto vero che il peso delle insolvenze ricade immediatamente e prima di tutto sulle banche. Il problema è di estrema delicatezza ed è stato colto molto correttamente ed intelligentemente dal direttore generale della Banca di Cambiano, Francesco Bosio, il quale, in una recente intervista, ha messo in guardia dal pericolo che incombe sul sistema bancario e di conseguenza sull’intero sistema produttivo. La tenaglia che si va stringendo sulle banche non è di certo nuova ma, in questa crisi epocale, è senza dubbio molto più pericolosa che in passato.

Se da un lato, infatti, si chiede alle banche di fare credito a partire dalle piccole e medie imprese per sostenere l’economia, dall’altro si impone loro di destinare risorse sempre più ingenti per proteggersi dalle eventuali insolvenze, fino a impedire la divisione degli utili per accantonarli. Come se non bastasse decisori e regolatori sono soggetti differenti: a sollecitare le banche a concedere prestiti è il Governo nazionale mentre a chiedere il puntuale rispetto delle norme sugli accantonamenti è la Banca centrale europea in base ad una classificazione dei crediti deteriorati molto rigida ma pensata in periodi nei quali una crisi come quella attuale non era nemmeno immaginabile. Oggi, la rigida applicazione di quella normativa rischia di vanificare tutti gli interventi di sostegno all’economia realizzati con i provvedimenti governativi e di portare addirittura a una contrazione del credito.

Da questa morsa, però, siamo obbligati a uscire. L’esigenza di sostenere il sistema produttivo, dando liquidità e certezze rispetto al futuro, soprattutto alle piccole e medie imprese e alle famiglie, ma anche al sistema bancario di poter svolgere pienamente il proprio ruolo di intermediazione del credito, è doveroso al fine di ridurre l’impatto sociale ed economico della crisi. È necessario ma è anche possibile. Molto utile in situazioni come queste è la conoscenza delle realtà produttivi dei territori.

Le banche del territorio, quelle più grandi come quelle più piccole, grazie allo storico rapporto che le lega ai territori nei quali sono storicamente insediate, sono in grado di saper riconoscere la vera imprenditorialità, le potenzialità e le capacità dei singoli e di saper e poter fare quelle scelte critiche necessarie per ridurre al minimo i rischi e allo stesso tempo sostenere, attraverso il credito, la ripresa per declinare, così, in concreto una funzione realmente anticiclica.