La modalità di una protesta, la sua forma, è sostanza. Ed è inutile, oltre che sbagliato e retrogrado, rifiutarsi a prescindere di pensare a evolversi, esprimendo il capriccio che tutto resti così come è oggi. Perché a breve non basterà più, nemmeno con gli incentivi di cui reclamano la restituzione (e sono stati tantissimi), e i nostri agricoltori, che sono straordinari, non devono rinunciare a solcare le vie della modernità, dove possono battere quasi chiunque 6-0 6-0. Ma al di là di questa ultima considerazione, che comprendo sia difficile da far propria perché si scontra con il problema numero uno di questa Nazione che però nessuno vuole davvero affrontare non capendo quanto sia invece dirimente per lo sviluppo italiano (e cioè il carico fiscale e burocratico che complica le produzioni non solo agricole), non mi convince la modalità della protesta.

Per l’interlocuzione col Governo italiano, e tramite esso con quello europeo, (portatore malato di capricci ideologici sulla trasformazione green i cui nodi verranno tutti inesorabilmente al pettine, col rischio che anziché nel verde, la rivoluzione green ci lasci al verde) gli agricoltori hanno le loro associazioni di categoria, che sono sin troppo ascoltate, peraltro. Stigmatizziamo sempre chi protesta arrecando disagi al prossimo, ai propri connazionali, anche se lo fa credendo in una causa, giusta o sbagliata che sia. Questa stigmatizzazione non può non riguardare anche una categoria sia pur rispettabilissima come gli agricoltori, e portatrice di una legittima preoccupazione per il proprio futuro. Si usano i corpi intermedi titolati per premere sul Governo e sull’Europa.

Non si mette a ferro e fuoco l’Italia, la sua Capitale, minacciando sfracelli e promettendo blocchi stradali che penalizzerebbero chi comunque non può far nulla per aiutare la categoria. Non serve a nulla, anzi, bloccare i cittadini che devono andare a lavorare, o in ospedale, sul Grande Raccordo Anulare. Vale per gli agricoltori, per i tassisti quando lo fecero a Roma, per gli eco attivisti e per chiunque altro. Questo, anche se comprendo benissimo le preoccupazioni di chi lavora molto, ma guadagna poco, e vede arricchirsi la distribuzione che smercia i loro prodotti frutto del loro sudore professionale.

E non è certo un caso se tocca all’Italia dopo che analoghe proteste si sono avute in Olanda, Romania, Polonia, Francia e Germania. Perché – in questo gli agricoltori hanno ragione – le molte direttive europee volte a ridurre drasticamente le emissioni nocive nel settore zootecnico sembrano un capriccio irragionevole: non considerano di richiedere notevoli investimenti insostenibili oggi come oggi per molte aziende agricole, già fortemente indebitate. Per non parlare dell’impatto sulla concorrenza, che appare asimmetrica se a fronte di sempre maggiori vincoli, in Italia entrano prodotti a prezzi stracciati da Paesi dove si fa un uso abnorme di pesticidi e che producono con meno lacci. Ma tutte queste giuste considerazioni si infrangono sulla modalità sbagliata di una protesta che dovrebbe vivere su altri canali.