In Italia e in Europa c’è un grande problema che molti decisori politici sembrano ignorare: la stagnazione, in alcuni casi il declino, della produzione industriale. E’ un problema che si trascina da qualche anno ma che richiede soluzioni immediate sia a livello continentale che italiano. Non è più differibile una seria valutazione della situazione. Al di là dei numeri, secondo le previsioni più ottimistiche il prossimo anno il Paese crescerà dello 0,9 per cento mentre gli investimenti fissi lordi saranno in deciso calo, ciò che maggiormente preoccupa è la mancanza di una direzione di politica industriale. Siamo arrivati a questo stallo dopo una serie di elementi che hanno inciso sulla manifattura italiana ed europea. Il periodo del Covid e il conflitto Russo-Ucraino hanno comportato due grandi conseguenze: il venir meno del gas e del petrolio russo, acquistato a buon mercato e con costanza da tutto il vecchio Continente; la “rottura” del sistema della logistica cinese dovuto a diversi fattori.

IL DECLINO DELL’INDUSTRIA ITALIANA: LE CRITICITÀ

Il gas russo è stato sostituito da quello liquefatto che conta molte criticità: ricerca di nuovi mercati di approvvigionamento, complessità della logistica per farlo arrivare in Europa e ovviamente nel Belpaese. Dunque, il gas liquido comporta un deciso aumento dei costi. Per quanto riguarda “la rottura” della logistica cinese essa ha due cause principali. La prima è la guerra dei dazi che sta per scoppiare tra gli Stati Uniti, Bruxelles e Pechino. Ciò comporta che tutte le grandi economie stanno acquisendo e accumulando merci cinesi prima che ci sia l’applicazione delle sovraimposte. La conseguenza è un enorme affaticamento di tutta la “supply chain” che dalla Cina parte per il mondo. Il secondo motivo è nella insicurezza del Mar Rosso e del canale di Suez che allarga i tempi di consegna e fa aumentare enormemente i costi di distribuzione. Aggiungiamo, inoltre, che da qualche tempo la Cina viene avvertita come un competitor geostrategico dall’Europa: il problema non è tanto Mosca con le sue mire imperialistiche, quanto Pechino con la sua aggressiva strategia di conquista dei mercati. Ciò ha portato i Paesi occidentali ad un “de risking” nei confronti del Celeste Impero: meno investimenti, meno acquisizioni di materie prime per non nutrire un competitor dal potenziale enorme.

BCE E GREEN DEAL: CHE RUOLI HANNO NELLA RISTRUTTURAZIONE INDUSTRIALE 

Non sono questi gli unici elementi a pesare sul processo di ristrutturazione industriale che dovrebbe riguardare l’Italia e l’Europa. Bisogna, infatti, aggiungere la politica monetaria della Banca Centrale Europea con un taglio dei tassi che sarà molto inferiore alle aspettative nel corso del 2024 essenzialmente perché i prezzi restano ancora alti a causa delle pressione dei costi sulla distribuzione e perché la Federal Reserve Usa sta adottando una strategia di temporaggiamento sulla diminuzione dei tassi. La Fed, in modo particolare, si troverà ad affrontare una politica inflazionista che Donald Trump imporrà all’indomani della vittoria elettorale: incentivi alle aziende, meno immigrazione, salari più alti metteranno a dura prova la politica monetaria restrittiva adottata sinora dal numero uno, Jerome Powell. Non si può, inoltre, trascurare come il “fanatismo” della Commissione Europea sull’adozione del Green Deal rappresenta un elemento di forte indebolimento della politica industriale europea. Sorprende, in modo particolare, l’insistenza di Ursula Von Der Leyen per l’attuazione del Green Deal nei primi cento giorni, così come ha affermato nel discorso al Parlamento Europeo. Tra le cose non chiare, ne spiccano due: dove prenderà i soldi l’Unione Europea per favorire il passaggio ad una industria “verde”? E soprattutto: quanta disoccupazione costerà questo passaggio?

IL RUOLO DEL GOVERNO NELLA POLITICA INDUSTRIALE

In tutto ciò il Governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, può giocare un ruolo fondamentale. Sempre che si decida a indicare una chiara e netta politica industriale. E’ il momento delle scelte. Un settore su cui puntare potrebbe essere la Difesa. E’ necessario però un patto bipartisan che preveda la sepoltura dell’ascia di guerra della polemica politica sugli investimenti dedicati al comparto, vista la delicatezza dell’argomento. E sarebbe necessario contrattare con Bruxelles l’esclusione di tali spese dal conteggio del Patto di stabilità. Avendo l’Esecutivo uno spazio di manovra limitato, deve prendere una forte posizione in difesa dell’industria sulle politiche verdi e soprattutto deve giocare un nuovo ruolo di attrattività degli investimenti in Italia. La Francia, infatti, vive un momento politico drammatico anche con l’esplosione del debito pubblico; la Germania, allo stesso tempo, è al centro di una profonda crisi industriale. Ecco dunque che per Roma si apre un importante spazio per incentivare le grandi aziende ad investire sul nostro territorio. Sempre che Giorgia Meloni cominci a prendere decisioni. Perché il governo e il Paese non possono  permettersi una deindustrializzazione dell’Italia.

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