Un elemento complicato per la gestione dei conti pubblici in un paese appartenente a un’unione monetaria (mi sto ovviamente riferendo all’Italia come paese membro dell’eurozona) è che le decisioni sul prelievo fiscale, sull’allocazione della spesa pubblica e sul divario esistente tra uscite ed entrate, cioè sul deficit, avvengono a livello nazionale, mentre le regole principali –soprattutto quelle su deficit e debito pubblico- sono prese a livello centrale/federale. Qui il meccanismo di scelta è quello dell’unanimità, ma l’Italia non può illudersi di usare il proprio potere di veto “senza se e senza ma”. Come dovrebbe essere ben noto, ci sono all’ordine del giorno due temi grossi di politica economica a livello nazionale e a livello europeo: a livello nazionale c’è l’ordinaria amministrazione della legge di bilancio, cioè il principale documento attraverso cui il governo in carica decide sui temi di finanza pubblica di cui sopra (prelievo fiscale, spesa pubblica, deficit) per il prossimo anno, in attesa che il Parlamento eserciti il suo potere approvandola o emendandola. Nel contempo il Parlamento italiano –ultimo tra i paesi UE- deve approvare le variazioni al cosiddetto MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), che spesso viene indicato in maniera giornalisticamente più vivace come “meccanismo salva-stati”.

Mi sto ovviamente riferendo a una decisione cruciale a livello centrale/federale, in quanto si stabilisce come gli stati appartenenti all’eurozona possano usare risorse fiscali messe in comune per fare “bail out” di uno stato che rischia di essere insolvente, oppure di una grande banca che si trovi in condizioni simili. Il rischio che vedo è che il governo Meloni si metta da solo in difficoltà politiche ed economiche eccessive tenendo aperti contemporaneamente due fronti, cioè fissando un deficit eccessivo per il prossimo anno, cioè il 4,2%, e combattendo una battaglia di retroguardia sull’approvazione del MES. Intendiamoci: pur avendo battagliato con lui frequentemente negli anni passati, posso ben comprendere le perplessità del Senatore Claudio Borghi sul fatto che Francia e Germania sulle decisioni ordinarie del MES abbiano potere di veto a motivo delle quote loro assegnate al suo interno, mentre l’Italia non possa farlo; d’altro canto, l’idea che siano sempre le risorse monetarie create dalla Banca Centrale Europea a mettere una pezza sui deficit eccessivi senza lasciare lo spazio a meccanismi fiscali di assicurazione tra gli stati si scontra con il principale problema macroeconomico che stiamo affrontando in questi anni, cioè l’inflazione eccessiva.

Sotto questo profilo, la buona vecchia teoria quantitativa della moneta (ai woke potrebbe venire un colpo se rammento loro che il suo precursore/inventore è stato l’illustre David Hume) ci ricorda come nel lungo termine l’inflazione cresca uno ad uno con il tasso di crescita dell’offerta della moneta, cioè con quel primo canale di implicito salvataggio degli stati in deficit eccessivo che è stato usato in maniera generosissima negli anni dell’assenza di inflazione (fino al 2019) e nel periodo della pandemia e dei lockdown (dal 2020 in avanti). Questo è un doppio tavolo di decisioni dove il Governo Meloni dovrebbe scegliere di non rischiare troppo. Da un lato il governo può avvantaggiarsi della gracile opposizione della sinistra che sembra distratta a controllare il deficit di correttezza politica nei reparti ortofrutta dei supermercati invisi alla Coop, ma dall’altro lato esso deve tenere conto del giornaliero giudizio dei mercati finanziari, dove investitori, speculatori e risparmiatori fanno scelte sull’affidabilità di un grosso debitore come lo stato italiano. Possono esserci tutti i complotti veri o presunti dell’universo, ma è molto più difficile attaccare con successo i titoli di stato di un paese che tiene i conti pubblici a posto, non spende in eccesso risorse prese a prestito, e fa presente agli interlocutori internazionali che larga parte del deficit attuale inerzialmente dipende dalle scelte ancora più spendaccione dell’opposizione attuale quando essa aveva responsabilità di governo (Conte 2 e superbonus al 110%).