L'intervista
Picierno e l’Ue che ambisce al ruolo di potenza: “Superare egoismi nazionali, la scelta non è tra Usa e Cina”
La vicepresidente del Parlamento UE: “Uno dei principali mali del nostro tempo è nella frase “non si può fare”. Per poi accorgerci che, quando facciamo, lo facciamo bene e con pochi rivali nel mondo”

“La scelta non è tra Usa e Cina, ma quanto siamo in grado di curare gli interessi di crescita e di sicurezza del continente in un contesto diverso”. A parlare a L’Economista è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo.
L’idea di Europa sembra in evoluzione. Quale sarà il punto di arrivo?
«Siamo ancora di fronte a due forze apparentemente in contrasto. Da un lato, la visione di un continente sovrano, la visione del compimento progressivo di un’integrazione con tutti gli strumenti tipici di una democrazia matura e solida, dalla competitività alla giustizia sociale, dalla politica estera e di difesa al funzionamento delle sue istituzioni. Dall’altra, la fatica quotidiana di realizzazioni concrete che appaiono, ed effettivamente sono, troppo lente e macchinose. Trovare un equilibrio, seppur difficile, è doveroso. L’evoluzione di questi ultimi anni è stata segnata dai tempi urgenti che viviamo, dalle molteplici crisi che siamo chiamati ad affrontare. Ora è il tempo delle scelte, di superare gli egoismi nazionali, di assumere che buona parte della crisi delle democrazie è risolvibile solo nell’evoluzione della democrazia europea, di guardare alle relazioni internazionali per quelle che sono, per i rapporti di forza globali di cui sono espressione che ci vedono potenzialmente forti ma ancora drammaticamente deboli. Non è e non sarà affatto semplice, bisogna uscire dal pantano della retorica vuota. Ma è il vero cimento del nuovo secolo, l’unico a disposizione che possiede ciascun democratico in Europa».
Quale deve essere il ruolo dell’Unione europea nei rapporti con gli Usa e la Cina?
«L’Unione non può che confermare il suo sostegno all’alleanza atlantica, ma dobbiamo chiarirci su un punto: non è più solo chiamata a scegliere tra due contendenti, ma ad assumere il ruolo di potenza globale tra potenze globali. Il pendolo della storia e degli interessi commerciali si è spostato via via verso le sponde del Pacifico, con un ruolo determinante di continenti in costante crescita, come l’Asia e l’Africa. Le vecchie alleanze non bastano più. Questo ce lo dice sicuramente Trump, con la sua rozza dottrina mercantilista. Ma era vero anche prima, perché attiene ai mutamenti globali in atto. Quindi la scelta non è tra USA e Cina – non è in discussione la Nato – ma quanto siamo capaci di curare gli interessi di crescita e sicurezza del continente in un contesto profondamente diverso».
Quali sono le strategie del Parlamento Ue per superare le “sacche” di euroscetticismo e consolidare il processo di integrazione europea?
«Lo scetticismo è dovuto a due fattori determinanti. Il primo è relativo alla propaganda dei nemici dichiarati dell’Europa. Esterni ed interni, in una formidabile combinazione tra guerra ibrida delle autarchie e narrazione nazionalista dell’internazionale reazionaria. Il secondo è che questa propaganda trova spazio nella distanza tra ambizioni europeiste e concrete realizzazioni. Il Parlamento è impegnato su entrambi i fronti. È l’istituzione europea che nei momenti più delicati della vita dei cittadini del continente esprime le posizioni e le scelte più coraggiose e avanzate. È stato così durante la pandemia, è stato così nel sostegno all’Ucraina, è stato così nelle necessarie scelte orientate verso la sicurezza e la difesa. È così ad ogni tornante. La spiegazione è evidente: il mandato democratico che rappresenta. La democrazia rappresentativa, le elezioni dirette, l’espressione della volontà popolare non sono ferri vecchi. Sono la forza, la legittimità, il coraggio delle istituzioni».
Quali ritiene che siano le priorità per un riposizionamento competitivo continentale?
«Maggiore sicurezza, mercato unico più forte, regole più flessibili, equità nella crescita. È un cerchio che si può quadrare, sappiamo come farlo. Sappiamo quali sono le analisi giuste, le politiche necessarie, gli atti da svolgere. “Do something”, ha annotato Mario Draghi nel suo recente intervento al Parlamento. Non si riferiva alle scelte tecniche ma alla volontà politica di metterle in atto. Riprendo la prima domanda che mi ha rivolto, il punto di arrivo. È esattamente questo, fare qualcosa, fare quello che serve, il punto di arrivo. Uno dei principali mali del nostro tempo è nella frase “non si può fare”. Per poi accorgerci che, quando facciamo, lo facciamo bene e con pochi rivali nel mondo. In molti casi, nessun rivale. Si tratti di progresso tecnologico, di ricerca scientifica, di istruzione pubblica, di assistenza sanitaria, di democrazia. Siamo questo, dobbiamo decidere di continuare ad esserlo in un mondo maledettamente più grande, più rischioso e più competitivo».
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