Matteo Garrone con il suo Pinocchio che sarà nelle sale cinematografiche a partire dal 19 dicembre, ci restituisce l’opportunità di parlare di una delle più belle favole moderne che l’800 ci abbia lasciato. Pinocchio è il simbolo magico del desiderio di paternità, un desiderio talmente intenso da trasformare un burattino di legno in un bambino in carne ed ossa. Rivoluzionaria non è solo l’idea, ma tutto il racconto, perché Geppetto divenuto padre non cerca immediatamente una madre al suo Pinocchio, Geppetto diventa padre e madre, sbuccia le mele per suo figlio, cuce i vestiti per la scuola e cura le sue ferite, come quando gli ricostruisce i piedi perché Pinocchio, come tutti i bambini, invece di ascoltare i consigli e gli ammonimenti dei genitori, vuole scoprire il fuoco e avvicinatosi troppo, finisce per bruciarsi i piedini di legno.

È la fine definitiva della figura del padre padrone, severo, distante e spesso indifferente, è un’inversione di cultura sorprendente e potente che concede all’uomo, al padre, l’esercizio della tenerezza, autorizzando senza danni per la virilità e l’autorità che il pater familias rappresenta, il contatto fisico con i propri figli, il piacere degli abbracci, delle carezze. Decisamente un cambio di costume, almeno nel pudore maschile che non ha più vergogna nel mostrarsi padre e non padrone. Ma la rivoluzione di Carlo Collodi, come la sua capacità di leggere nell’animo dell’uomo, sta anche nell’aver affermato che la paternità non ha età, che ogni stagione della vita può essere buona per ricevere il dono dei figli. In questo Geppetto è quasi biblico, è la versione maschile di santa Elisabetta, la madre del Battista, che riceve l’annuncio dell’angelo ormai ultrasettantenne.

E restando in tema di sacre scritture, leggendo Pinocchio si ha anche la non remota sensazione che Collodi nel creare il suo Geppetto, abbia voluto offrire un implicito riscatto all’altro più famoso falegname, Giuseppe, padre declassato e sbiadito al confronto con l’Altissimo, vendicato appunto dalla figura di Geppetto, l’homo faber, autore della sua paternità. Pinocchio è anche di più. È una storia antica che arriva fino a noi con tutta la sua modernità, perché la storia di Geppetto è anche la storia di Luca, single, gay, che adotta una bambina down, Alba, rifiutata da decine di famiglie. Luca ha cercato e trovato una strada per esaudire il suo desiderio di paternità, osteggiato e complicato da sterili divieti e pregiudizi che rendono estremamente difficile per un single, soprattutto se uomo, il diritto alla genitorialità. Ma Luca,come Geppetto, ha compiuto il suo miracolo. Ed è subito felicità. Perché l’amore rende felici e su questo nessuno può smentirci.

Pinocchio è una lezione di parità scritta da un uomo…la paternità vale quanto la maternità e questo può confermarlo anche chi scrive, una donna cresciuta da un uomo perché orfana di sua madre.  Nessuno di noi leggendo Pinocchio si è mai chiesto se Geppetto fosse divorziato, vedovo, single o gay, ci siamo solo lasciati affascinare dall’impresa eroica che spesso comporta crescere dei figli, al punto che ciascuno di noi, ogni tanto avrebbe bisogno di un naso che si allunga per riconoscere e neutralizzare le bugie prima che assumano conseguenze pericolose o dell’arrivo di una fata, come la madrina di Pinocchio, la fata dai capelli turchini. Anche qui una grande famiglia arcobaleno ante litteram. Anche il finale di Pinocchio anticipa una responsabilità che oggi, con il crescere dell’aspettativa di vita, riguarda ormai tutti i figli destinati a farsi genitori dei propri genitori, ad assistere una vecchiaia tanto lunga da comportare, in molti casi, il rischio di una decadenza fisica e mentale che va accompagnata e protetta.

Pinocchio nel ventre della balena che conduce fuori dal buio suo padre disorientato e fragile, è forse l’immagine più bella di questo percorso.