«L’industria che torna a crescere. È un buon segnale. Anche se sarà difficile recuperare dopo così tanto tempo». Andrea Pontremoli, amministratore delegato e socio di Dallara automobili, commenta la situazione economica italiana dopo che l’Istat ha detto che la produzione industriale è tornata al bello.

Un lungo periodo di punti negativi che si sommano ai dazi.

«La questione non è il dazio in sé, ma l’incertezza che genera. Di fronte a uno scenario poco chiaro e a decisioni che tardano ad arrivare, le imprese rallentano. Calano gli investimenti e con essi la crescita».

Temete delle conseguenze per il vostro stabilimento a Indianapolis a causa delle misure trumpiane?

«L’impatto si concentra soprattutto sulle parti strutturali delle macchine da corsa. Abbiamo una filiera abbastanza diversificata, quindi prevediamo che l’effetto verrà ammortizzato. D’altra parte, un impatto ci sarà. Anzi, già c’è stato. Primo fra tutti, l’aumento dei costi, che inevitabilmente dobbiamo trasferire sui prezzi».

Però il vostro cliente-tipo può permettersi un ritocco del listino.

«Esatto. Il nostro mercato di riferimento può sostenere queste variazioni. Non è così per il resto del settore. In questo momento, la competitività della maggior parte delle case automobilistiche è messa davvero a rischio».

Alcune imprese lamentano più il caro energia che i dazi. Per voi è lo stesso?

«Sicuramente. Il caro energia incide molto. Come anche il costo di materie prime strategiche per il settore. Noi non abbiamo commodity e non possiamo farci molto».

E l’Ue non vi è nemmeno venuta in aiuto con il Green Deal.

«Se uno osservasse tutto questo da Marte, resterebbe incredulo. Ci stiamo imponendo delle regole che le aziende automobilistiche possono rispettare soltanto andando ad acquistare certificati verdi dai loro concorrenti, come Tesla o BYD. L’auto europea si è “tafazziata”».

Eppure c’è chi dice che il Green Deal può avere effetti positivi. È così?

«Il Green Deal ha avuto il merito di spingere a trovare nuove soluzioni sostenibili. Il problema è che ha imposto l’elettrico come unica via. Al contrario, avrebbe potuto valutare tante possibili combinazioni. Elettrico e idrogeno, per esempio».

Una grave miopia della politica. Perché, secondo lei?

«Perché non ha studiato. Chi ha i dati sotto mano capisce che la CO2 non è solo quella che esce dalla marmitta. L’inquinamento è un problema più ampio. La politica dovrebbe limitarsi a indicare l’obiettivo, ridurre le emissioni appunto, non il mezzo. Questo lo lasci a chi fa ricerca e industria».

Ricerca vuol dire formazione e competenze.

«Il capitale umano è la nostra risorsa primaria. Su questo dobbiamo investire. Alla Dallara Academy di Fornovo abbiamo formato 1.850 persone in sei anni. Con il 90% di occupati in sei mesi dalla fine del corso».

Eppure nel dibattito politico, anche con i recenti referendum, questo tema è rimasto assente.

«Come ho detto a Nobilita, il Festival della cultura del lavoro di Reggio Emilia, in Italia si preferisce agire sugli effetti e non sulle cause. Al contrario, se un trend non ci piace, dobbiamo capire come cambiarlo. È con questa filosofia che abbiamo dato vita a Muner, la Motor Valley University of Emilia-Romagna. Dal 2017, i dieci brand della Motor Valley, tra cui Dallara, collaborano con le quattro università dell’Emilia-Romagna (Bologna, Parma, Modena-Reggio e Ferrara, ndr). Insieme abbiamo progettato nove lauree magistrali che prima non esistevano. Tutte in lingua inglese e aperte agli studenti stranieri».

E funziona?
«Eccome! Ogni anno formiamo circa 200 laureati con voti altissimi. Il 25% di loro è straniero».

Pensate di replicare questo modello all’estero?

«Due settimane fa abbiamo lanciato lo stesso progetto negli Stati Uniti, con Purdue University, la più importante università di ingegneria americana, a Lafayette nell’Indiana. Lì è nato il primo distaccamento dedicato al motorsport, che creerà un ponte stabile tra la formazione in Emilia-Romagna e quella in Usa».

Trump, con le sue restrizioni agli studenti stranieri, sarà d’accordo?

«Noi siamo d’aiuto alle competenze che mancano in America. Quei ragazzi, poi, vengono qui, a specializzarsi a Varano. A settembre ne aspettiamo 20».